Una storia triste raccontata malissimo
Non ci saranno più le poesie di Paulo, ma era lui che non voleva più declamarle all’Olimpico. In compenso ci sarà la prosa di una squadra diversa. Di cui l’allenatore, il più grande romanista che si sia mai seduto su quella panchina, è pronto ad assumersi ogni responsabilità. E pure questa è poesia
Quanto perda la Roma con la “cessione” di Paulo Dybala lo sappiamo tutti. Perde la poesia che ogni tanto ci distoglieva dalla prosa di ogni partita, perde ognuno dei 34 gol e dei 18 assist regalati in questi due anni (più una settimana: il 14 agosto 2022 il suo esordio a Salerno), perde ogni controllo, ogni dribbling, ogni passaggio, ogni tiro, ogni lancio, perde insomma la bellezza che ci aveva lasciato quando aveva smesso Totti e che avevamo ritrovato in tutta la sua accecante lucentezza, anche se solo per due anni, anche se non per tutte le partite. Ma lo sapevamo, lo avevamo accettato. Non esce dalla testa il ricordo del dolente gesto di ammirata sorpresa di De Rossi quando a pochi metri da lui Paulino ha stoppato un pallone sceso dal cielo bloccandolo sul cuoio del suo scarpino, durante la sfida con il Feyenoord, in Europa League. Lo spettacolo nello spettacolo del calcio. Roba sopraffina, riservata a pochi privilegiati, ma messa a disposizione di milioni di appassionati. Perdere un giocatore capace di fare uno stop così non ha prezzo, figuratevi il solletico che ci fanno i tre milioni che, in attesa di conferme ufficiali, i bene informati dicono che siano arrivati alla Roma come indennizzo per liberare il cartellino.
A lui invece ne andrà qualcuno in più, tipo 75 in tre anni, e così tutte le future generazioni di Dybalini potranno vivere sonni tranquilli. Ma nessun moralista in servizio permanente effettivo gli rimprovererà l’ingordigia per la curiosa scelta del (pre)pensionamento d’oro. La responsabilità di questo divorzio, infatti, per la quasi totalità dei commentatori ricade invece sulle spalle della Roma che avrebbe costretto il talento ad andar via per miserrimi motivi (citando alla rinfusa, perché aveva finito i soldi del mercato, perché aveva sbagliato i conti in vista del rinnovo del contratto, perché De Rossi tatticamente non sapeva dove metterlo e comunque non lo vede più). Cornuta e mazziata, dunque. Perde quasi gratis il suo miglior giocatore, al 99% non riuscirà a sostituirlo con un calciatore di altrettanto fascino, si obbliga ad un mostruoso lavoro di reclutamento nei giorni residui di mercato e saluta il suo più apprezzato testimonial commerciale: e tutti accollano a Trigoria pure la regia dell’operazione. Dei geni.
La verità è un’altra e speriamo che nelle prossime ore verrà a galla. Diciamo solo, per ora, che la Roma si consolerà con i 40 milioni di ingaggi risparmiati che le consentiranno di acquistare subito tre giocatori importanti per rinforzare la rosa e, se si completeranno le pianificate cessioni di Zalewski, Abraham, Shomurodov e Bove, ne arriveranno altri tre. Non ci saranno più la poesie di Paulo, ma era lui che non voleva più declamarle all’Olimpico. In compenso ci sarà la prosa di una squadra diversa. Di cui l’allenatore, il più grande romanista che si sia mai seduto su quella panchina, è pronto ad assumersi ogni responsabilità. E pure questa è poesia.
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