Razzisti su Marte
La preoccupante diffusione di cori razzisti o antisemiti va contrastata. E chi ne fa una questione di tifo, o si lamenta per le condanne mediatiche, aumenta soltanto la confusione
Proviamo a fare un salto di qualità nel misero dibattito su chi rinfaccia a chi gli episodi di razzismo che si perpetuano nel campionato di Serie A nel 2023.
Nascondersi dietro la scusa del coro goliardico per giustificare l’immonda riprovazione per una "sinagoga" è volgare, anacronistico, antistorico, persino ridicolo se neanche si prova un po’ di vergogna a intonarlo. Per capire di più vogliamo anche scansare le tentazioni di far da sponda a una posizione piuttosto che a un’altra. Ma c’è chi invece si presta volentieri. Ieri il Corriere della Sera, non Il Gazzettino di Roccacannuccia, ha riportato le dolenti lamentele della Lazio per una presunta disparità di trattamento mediatico sulle responsabilità dei rispettivi tifosi. C’è scritto pure che la Roma non si sarebbe dissociata rispetto al daspato che ha esposto una bandiera a tinte giallorosse su simboli delle SS, e magari rispetto ad una scritta sul lungomare di Fiumicino. Come se i singoli individui contassero come le sviariate decine di migliaia di tifosi che intonano con orgoglio da anni ormai (c’è un dossier che gira sulla ripetitività degli eventi) un tristissimo coro antisemita.
Siamo d’accordo su un principio: che sia un solo tifoso, o siano 1000 o 10.000, ad evocare con orgoglio riferimenti a stermini di massa o a vantare un qualche tipo di superiorità di un essere umano sull’altro, la riprovazione dev’essere la stessa. Ma poi c’è anche una differenza intanto culturale rispetto alla diffusione più o meno condivisa di questi atteggiamenti. La radicalizzazione delle prese di posizione tra tifoserie trova a volte linfa vitale dentro i sofismi dei giornali o nelle autoassolutorie tesi faziose da bar. Eppure la facilità con cui certi cori ignobili vengono ripresi e persino ostentati sui social network, in alcuni casi usando innocenti minorenni inconsapevoli portatori d’odio che qualcuno (forse in famiglia) sta instillando nelle loro teste, fa accapponare la pelle.
Se a volte su questo giornale non ci mettiamo a fare la conta di qualche coro, fischio o ululato di una tifoseria o di un’altra e perché siamo convinti che non è l’esecrazione da quattro soldi che aiuta a risolvere il problema, ma appoggeremo sempre chi cercherà di impegnarsi per trovare soluzioni a una prassi che si trascina da decenni e che a volte si perpetua grazie a sponde di dirigenti compiacenti o di governi magari tolleranti sul tema. Razzismo e antisemitismo nel 2023 non sono tollerabili. E chi ne fa una questione di rivendicazione tifosa peggiora solo la situazione.
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