La prima volta non si scorda mai
Come capita spesso in partite del genere chi segna per secondo va a casa più contento ma quel pomeriggio, a prescindere dal risultato, non me lo sono mai dimenticato

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Prima del 1990 mio padre non mi ha mai portato a vedere un derby.
A sua discolpa va detto che, fino a un certo punto, il derby non c’era proprio... con loro a girovagare per tutta l’Italia sui campetti di provincia proprio come quelle trasmissioni di cucina che girano per la penisola andando a cercare, nei comuni più piccoli, antiche ricette da presentare al grande pubblico.
Ecco, una cosa simile: grande pubblico a parte.
E poi, negli anni, perché non si fidava e, probabilmente, la sua parte la faceva anche l’immancabile servizio, del sabato sera, al Tg regionale sulle vere o presunte sacche piene zeppe di machete ritrovati dietro qualche siepe intorno all’Olimpico. E così, niente. A casa. Davanti la radio, torturandomi le unghie e affidando alla voce di Alberto Mandolesi il racconto, la sofferenza e soprattutto la felicità per un gol: gli occhi suoi, quelli miei.
Fino a che, gli occhi miei, il primo derby sono andati – per davvero – a vederlo: 2 dicembre 1990. Un derby iniziato chissà quanti giorni prima assaporando l’attesa, spegnendo a mio padre la televisione nell’ora del Tg regionale e cercando, la sera precedente, di fare come i bambini che vanno a dormire presto quando vogliono veder arrivare prima quello che tanto stanno aspettando: macché, sveglio.
A rigirarmi nel letto smanioso d’andare.
E poi, finalmente, quel momento è arrivato per davvero. Con quella strana sensazione addosso nel vedermi sfrecciare accanto, verso lo stadio, qualche motorino con le sciarpe e le bandiere dai colori sbagliati anziché solo, e sempre, gli unici possibili: i nostri. Eccomi, allora. L’Olimpico e la Curva Sud con quel gigantesco UR – Ultrà ROMA – che, da ragazzino, tenevo appuntato, grazie a una spilla, sempre sul grembiule a scuola.
Sarebbe bastato quello.
Prima di novanta minuti tirati su un campo indecente, senza Nela e Giannini ma con un super Zinetti a parare l’impossibile e Rudi Voeller a imperversare sul fronte avversario fino al gol del vantaggio arrivato, un classico di quegli anni, su calcio di rigore. Poi loro pareggiarono, sì. E come capita spesso in partite del genere chi segna per secondo va a casa più contento ma quel pomeriggio, a prescindere dal risultato, non me lo sono mai dimenticato.
Anche se poi, a pensarci bene, si stava meglio quando stavano peggio: in serie B.
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