Ciò che conta veramente: allenatori bravi “giochisti” e non
L’inutile querelle del mondo del calcio. L’unica esigenza è quella di sapersi adattare alla squadra e al contesto di gioco in cui ci si ritrova
Se c’è una querelle che proprio non mi appassiona è quella tra allenatori giochisti – questo termine mi scalda ancora di meno… - e quelli, invece, che pensano solamente al risultato. Come se poi il risultato, per tutti, non fosse l’unica stella polare da seguire.
Anche perché, in questo sport così esasperato dove tutto va molto più veloce della logica, le panchine saltano così rapidamente che certe volte gli allenatori, specie quelli convinti di divulgare il verbo, non arrivano nemmeno a completare la frase cult su “Il mio calcio” che già sono stati esonerati.
E, allora, in questa stucchevole diatriba che verrebbe, quasi, di chiamare guerra di religione – calcistica – mi viene, semplicemente, di farmi una domanda retorica: ma qual è il migliore allenatore? Provo a dare la mia risposta pur consapevole che tanto ognuno rimarrà sulle sue posizioni: l’allenatore più bravo è quello che riesce a mettere i suoi calciatori nella condizione di rendere al meglio. Significa coniugare il calcio in base al materiale umano che si ha a disposizione: significa ragionare senza dogmi assoluti, certamente con un’idea da seguire e perseguire ma senza la necessità di voler a tutti i costi dimostrare di essere coerenti.
A chi?!?
Giocare bene, ne parlo solamente perché è stato l’ultimo allenatore della ROMA prima di Mourinho, significa sentire Fonseca dichiarare, prima di incontrare il PSG, che "non cambia niente se sono i migliori di Francia, giocheremo con le stesse idee"?!? Sono passati solamente otto secondi dal momento in cui i parigini hanno centrato il pallone a quello in cui, scavalcando l’intera difesa avversaria con tre soli passaggi, sono andati in porta: uno a zero.
Primo gol di sette.
Mi chiedo, allora, se non sarebbe stato meglio – magari come nel secondo tempo della ROMA a Manchester in semifinale di Europa League… - studiare qualcosa di diverso magari abbassando la linea difensiva e arrivando a pensare il fuorigioco non come una esigenza di vita ma, semplicemente, come la conseguenza di un pressing portato all’esasperazione.
Ecco, per me questo è il miglior allenatore: quello capace di sapersi calare nella situazione in cui si trova, quello che sa cambiare, evolversi e trasformare un gruppo di calciatori in una squadra. Altrimenti, a meno che non si ha a disposizione la realtà più forte del campionato, quella famosa frase sul “Mio calcio” non si riuscirà mai a portarla a termine.
“Il mio…”.
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