Tiago Pinto, tra narrazione fantasiosa e realtà
Dopo José Mourinho e Tammy Abraham, ha portato a vestire i colori giallorossi anche Paulo Dybala. Altro che general manager “troppo giovane”
Se sullo stomaco non hai pelo da pettinare in certi ambienti vieni raccontato male. Perché se non alimenti anche il loro, di pelo, finisci inevitabilmente per rimanerne schiacciato e nell’epoca della comunicazione sensazionalistica, e fin troppo trash, l’educazione spesso non paga.
Non paga, però, se oltre all’aplomb non hai altre virtù da collezionare. Perché, altrimenti, nel calcio – così come nella vita – alla fine sono sempre i risultati a determinare chi sei. È il caso, a oggi, di Tiago Pinto. Troppo pettinato, troppo elegante, troppo giovane… già, perché in Italia se hai meno di quarant’anni vieni considerato, semplicemente, un giovanotto che ha molto-troppo da imparare e che, parlando di calciomercato, serve solamente per passare il contratto da far firmare ai calciatori che qualcun altro cerca, tratta, acquista. E, invece, Tiago Pinto i giocatori se li va a prendere.
Tre giorni a Londra, all-in su Tammy Abraham: sono tornati a ROMA insieme. Dopo che il general manager, nella Capitale, aveva portato anche – soprattutto – José Mourinho: tante leggende ma nessuna volontà, però, di raccontare che l’idea folle, e meravigliosa allo stesso tempo, di ingaggiarlo era venuta proprio a lui. Contatto, corteggiamento. Il resto lo fecero i Friedkin: si chiama lavoro di squadra. Quello che Pinto ha messo in campo, anche, con il mister per arrivare a dama con Paulo Dybala. Lo scrivo di nuovo: Paulo Dybala. Che lui riesce a convincere, con uno stipendio – viste le qualità dell’argentino – relativamente basso, grazie all’unica offerta possibile per ingaggiarlo. Dopo Matic, Svilar, Celik. Lo raccontavano in ritardo, proprio così: fino a qualche giorno fa, infatti, se qualcuno doveva parlare di Tiago Pinto lo faceva solamente per dire che ormai era tardi per tutto.
Rui Vitoria, ex allenatore del Benfica, lo ha definito «maniacale, visionario e vincente». Che se dovessimo mettere in fila questi tre aggettivi potremmo sistemare la Conference League accanto al vincente, Mourinho, Abraham e Dybala vicino al visionario e la scelta di imporre un tetto massimo del 10% alle commissioni per gli agenti dei calciatori, acquistati o venduti, al fianco di maniacale. Potremmo, ma sarebbe noioso.
Perché fa più effetto dire che ha preso Vina e che l’uruguaiano – alla sua prima stagione in Italia dopo tante, tante partite senza mai fermarsi – non è stato convincente. Regola numero uno: sempre incudine, mai martello. Neanche quando, per restituire ai Romanisti l’inno “Roma Roma” a ridosso del fischio d’inizio, decise di sfidare la Lega mettendo da parte, per una volta, il dialogo per puntare i piedi e far cambiare una regola che andava contro l’unica cosa che tiene in vita il calcio: la passione dei tifosi. Eh, però Vina…
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