Capitale umano
Il tempo stringe, resta da salvare il salvabile e se possibile impostare il lavoro per l'anno prossimo, per non buttare un'altra stagione. L'importante è che non si tratti dell'ennesima scelta algoritmica
Scene dal presente. Chi cammina nervosamente in circolo. Chi rosicchia le unghie fino alla pelle. Chi fuma ben oltre il lecito. Chi non distoglie lo sguardo dalle notifiche, nemmeno fosse un candidato in attesa degli exit poll. Ognuno scelga la forma di apprensione più rappresentativa. Lo stato di agitazione febbrile coinvolge e pervade ogni romanista, nessuno escluso, a partire dalle 17.27 del 10 novembre 2024. Dal preciso istante in cui la più o meno cronica e stavolta attesa nota del club è stata diramata. Conclusa l'era Juric, durata 53 giorni e costata molti più danni di quanti se ne possano normalmente procurare in due mesi scarsi. Comincia l'era X. Perché il nome del sostituto ancora non c'è e l'ansia generalizzata è tutta lì.
Memorie dal passato. Pensi a dieci mesi fa e ti viene il magone. Poi ci ripensi e senti il veleno risalire. Ricordi chi lo sputava perché – parole lanciate in libertà ma ormai agli atti, nulla di inventato – «a Milano non ci si può soltanto difendere». O perché «una semifinale rintanati nella propria metà campo è vergognosa». Opinioni, per carità, e in quanto tali legittime. Ma per molti altri (compreso chi scrive) a Leverkusen la Roma ha scritto una delle pagine più esaltanti della propria storia. E – qui finiscono le opinioni e cominciano i fatti – quella storia è diventata leggenda con la seconda finale europea consecutiva. E soltanto uno ci è riuscito.
E tutto il resto è starnazzamento da cortile. Quell'uno è stato molto più che Special. È stato The only one. Ma chi gestisce la Roma come un'azienda secondaria del proprio portfolio non lo ha capito. O era troppo impegnato a pensare ad altro. O malconsigliato da una plenipotenziaria tagliatrice di teste. Sia come sia, ha pensato “bene” di smontare come nulla fosse quel gigantesco parafulmine di tutto lo scibile romanista. Impiantandone un altro, più o meno con la stessa superficialità con la quale si sostituisce una lampadina. Colosso come il precedente anche se per differenti ragioni, DDR è riuscito a tappare le falle emotive e tecniche. Non tutte le altre (ruolo che teoricamente non sarebbe spettato nemmeno a Mou), emerse poco a poco fino a far esplodere la bolla, lo scorso 18 settembre. Da quel maledetto giorno in poi, la valanga è montata sempre di più fino a diventare inarrestabile.
Visioni sul futuro. Però qui si fa la Roma o si muore. Calcisticamente, s'intende. La classifica è penosa come poche altre volte è capitato di vedere. Il tempo stringe, resta da salvare il salvabile e se possibile impostare il lavoro per l'anno prossimo, per non buttare un'altra stagione. L'importante è che non si tratti dell'ennesima scelta algoritmica. La Roma ha bisogno non soltanto di una figura solida, esperta, tecnicamente di alto livello; ma soprattutto di qualcuno che la rappresenti, che sappia interpretare gli umori, capire cosa conta anche al di là del campo, riavvicinare la piazza alla squadra. Qualcuno che ricostruisca l'empatia, parola magica e mai in disuso negli ultimi tre anni, fino alle scellerate decisioni della proprietà fra gennaio e settembre. Si può sbagliare, si può perfino essere troppo orgogliosi per ammettere errori madornali. Sono rari i capi che possiedono umiltà e statura morale per compiere un passo indietro. Ma perseverare vuol dire annientare quel pochissimo cui appellarsi. E rasentare pericolosissimamente gli inferi. Li vediamo già e già ci siamo scottati. Ora è il momento di non bruciarsi del tutto. È il momento di far subentrare il fattore umano. Sempre che di umanità ne sia rimasta. Da allora in poi si potrà, si dovrà, restituire il romanismo alla Roma.
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