Lontano dal cuore
Ora si respira soltanto un senso di frustrazione. Atmosfera tetra e priva d'orgoglio. E perciò antiromanista. Ma la Roma è altro: è sentimento, anche il più tumultuoso
C'è qualcosa di peggio che assistere all'ennesimo strazio fornito da questa squadra. C'è qualcosa di peggio degli otto gol incassati nell'ultima settimana e perfino dei tre subiti dal derelitto Verona (a un misero punto da noi nonostante le sei sconfitte in sette partite), dopo i cinque che hanno trasformato la Fiorentina in un incrocio fra Brasile del '70 e grande Real.
C'è di peggio che lanciare uno sguardo alla deprimente classifica e cominciare a fare i conti concentrandosi sulle poche che seguono più che sulle tante che precedono.
C'è di peggio di un allenatore che si dichiara ancora soddisfatto (sigh) della prestazione, proprio come dopo quella invereconda contro l'Elfsborg.
C'è di peggio che pensare a Mourinho relegato a oltre duemila chilometri di distanza, mentre si infiamma difendendo l'ultima piazza che lo ha accolto come un eroe. Giustamente. E c'è di peggio che seguire tramite i social il girovagare di De Rossi per il globo, pur di stare lontano da casa sua. Quella dalla quale è stato sfrattato senza giusta causa.
L'elenco potrebbe diventare ancora più corposo, in ossequio all'antico adagio secondo cui «non c'è limite al peggio». Ma sarebbe fuorviante, perché al di là dei paradossi uno spartiacque esiste eccome. E purtroppo è stato raggiunto. Uno di quei fondi oltre il quale non c'è più nulla da scavare. Rappresentato dalla cosa che più di qualsiasi altra manca.
Oggi alla Roma manca la Roma. Sic et simpliciter. Non si tratta di un'iperbole. Non più di quanto non lo sia la realtà. Quella che stiamo vivendo è svilita, svuotata, annichilita. È il trionfo dell'apatia emotiva, che ha travolto tutti. A ogni livello. Quando viene a mancare perfino la forza d'incazzarsi; quando tutto sembra ineluttabile, già visto prima ancora che accada, in un continuo déjà-vu infernale degno dei gironi danteschi; quando le speranze sono annientate dal senso d'abbandono; è allora che il danno diventa serio. Serissimo. Se i sentimenti non rispondono più agli stimoli, appaiono soltanto vicoli ciechi. Con tutto il senso di claustrofobia che può seguire. Molto meglio lo strapiombo, che almeno tiene viva la paura e lo spirito di sopravvivenza. Qui invece si vivacchia. Nella mediocrità che rischia di assuefare.
Non è questione di risultati. Non soltanto perlomeno. Quelli non sono arrivati diverse volte nella nostra storia e quando è successo hanno generato reazioni, sia pure negative ma comunque vitali: angoscia, apprensione, tormento, ansia, rabbia. Ora si respira soltanto un senso di frustrazione. Atmosfera tetra e priva d'orgoglio. E perciò antiromanista. Come vivere ogni partita come uno stillicidio, nella sola attesa che finisca presto. Ora tutto è lontano dal cuore.
Ma la Roma è altro. È sempre stata altro, fin dalla fondazione. La Roma è tutta nell'innato moto di fierezza del suo popolo, perfino negli anni più bui. La Roma è sentimento, anche il più tumultuoso. Ma sempre dirompente, focoso, sanguigno. Ridatecelo. Basterebbe anche soltanto questo per farci ritrovare se non il sorriso, la voglia di tornare a lottare.
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