Siamo entrati a Campo Testaccio: il nostro reportage sull'abbandono del "tempio" visto da dentro
Nel giorno in cui l'iter per la bonifica ha preso il via, le persone che vivono nei locali del vecchio campo sportivo ci hanno mostrato la situazione vista dall'interno
Da dove venite? «Dall'Unione Sovietica». Alex ragiona ancora con le mappe di trent'anni fa. È ucraino, del Donbas, proprio la zona di origine della squadra che la Roma affronterà il 13 marzo. «Sti c... dello Shakhtar, io so' della Roma. Ci basta l'1-0 e passiamo noi». Ha le idee chiare Alex. Le stesse idee chiare che qualche mese fa gli hanno suggerito di scavalcare la cancellata di via Zabaglia per trovare riparo negli ex magazzini del campo sportivo. Campo Testaccio.
«Questo era lo stadio storico della Roma». È lui a spiegare la geografia del luogo. «Qui dove dormiamo noi era un magazzino, lo abbiamo trovato pieno di sacchi di immondizia. Lì accanto ci sono gli spogliatoi, ma li hanno murati per non far entrare nessuno. Prima di noi c'erano altre persone qui, hanno fatto un casino, distruggendo tutto. Ora piano piano stiamo ripulendo». Alex è arrivato in Italia parecchi anni fa. Viveva in affitto a Ponte Lungo assieme a Levan, il suo amico georgiano che adesso dorme nei prefabbricati che danno su via Zabaglia. Faceva il giardiniere, «quando ancora si lavorava». Adesso si arrangia come può, lavora solo nel fine settimana e continua a cercare. «Sono venuto qui quando ho perso il posto e non ho avuto più soldi per la casa». È l'unico che può raccontare la sua storia: gli altri quasi non parlano italiano, ma sembrano contenti del fatto che qualcuno si interessi di loro.
Conoscere gli occupantiabusivi di Campo Testaccio mette di fronte ai propri pregiudizi. Ad esempio quelli che fanno varcare con circospezione la soglia del cancello per entrare nel mondo di queste genti diverse venute dall'Est. Poche ore prima i tecnici del Comune e del Tribunale civile avevano fatto la stessa cosa, ma perché da qui a qualche mese - si spera non anno - l'enorme cratere sarà ripulito dalla vegetazione. E da chi ci vive. Loro lo sanno.
Ma gli stessi pregiudizi che imponevano di pensare che no, gli occupantiabusivi di Campo Testaccio non possono essere d'accordo con la riqualificazione, si sciolgono di fronte ai pensieri di Alex: «Credi che mi piace vedere tutto ciò? Apro la porta e vedo questo. Mi fa schifo, non si può vedere. Se mi devono cacciare spero che facciano qualcosa di bello qui. Anzi, se mi danno una stanza in cui dormire io ci lavoro gratis qui».
Alex e gli altri ragazzi "dell'Unione Sovietica" non vivono bene. I muri delle loro stanze, se è lecito chiamarle così, sono coperti dai segni della muffa e dell'umidità. L'acqua la vanno a prendere alla fontanella e la dispensano in taniche all'esterno. Si lavano usando delle bacinelle e nelle notti peggiori il freddo non li fa dormire. Combattono il buio con le candele e ai muri appendono icone e calendari ortodossi. Cucinano con una piccola griglia e bevono Peroni.
Ci autorizzano a fare un giro nel loro giardino di casa: l'enorme cratere pieno di arbusti il cui recupero, secondo il Comune, costerà una cifra a sei zeri. C'è un gatto paffuto che si aggira tra gli alberi e ci spiegano come mai sia così in carne: «Mangia certi ratti qui che sta sazio per due giorni». Gli stessi ratti che, a volte, fanno capolino nelle scuole che affacciano sull'area.
Camminare su ciò che resta di Campo Testaccio non emoziona. Non c'è niente di epico: nessuna eco dei calci al pallone di Ferraris e Bernardini o dei canti provenienti dagli spalti in legno. Ci sono solo monnezza, buche, vegetazione e poi ancora monnezza. L'unica cosa che richiama i giorni di gloria sono sullo sfondo i cipressi del cimitero acattolico, presenti anche nelle foto dell'epoca. Pare che dopo le prime partite giocate al Testaccio, nel 1929, il personale del cimitero si lamentò perché i canti sguaiati dei romanisti disturbavano le anime dei poeti.
Forse questo Alex, Levan e gli altri non lo sanno, ma non è detto che un giorno non lo impareranno. Perché sarebbe davvero bello se il problema degli occupantiabusivi potesse risolversi anche con la la loro integrazione, oltre che con la bonifica del campo. Loro non vogliono essere considerati dei border-line: raccontano la loro vita come una situazione temporanea che presto si risolverà. Un po' come da anni fanno le istituzioni romane con Campo Testaccio.
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