Hall of Fame - Damiano Tommasi: anima candida, spirito romanista
Arrivò a Roma nel 1996 da campione europeo Under 21. In giallorosso passò dai fischi agli applausi, fino a divenire idolo assoluto
Vaggimal è un paese di poco più di 75 famiglie sparse attorno a un centro molto piccolo. Quasi mille metri sopra al livello del mare, vicino a Sant'Anna d'Alfaedo, dove c'è il Comune. La famiglia Tommasi probabilmente è la più numerosa e il 17 maggio 1974 festeggia l'arrivo di Damiano. Un bambino che ama il tamburello e lo sci di fondo, che gioca ai mondiali di calcio con i fratelli Alfonso e Zaccaria e che presto, nel Negrar, s'accorge che il calcio per lui non sarà solo un gioco. Lo prende il Verona e nel 1996, quando ha già vinto un Europeo Under 21, lo cede alla Roma. «Ero giovane e appena sposato. Era anche l'inizio di una vita matrimoniale. Era tutto un guardare avanti, sapendo che era un'esperienza da vivere appieno e da cogliere perché poteva diventare irripetibile. Come è stata».
Il primo anno è già un bell'allenamento. Tommasi passa da un Eurogol alla Dinamo Mosca e agli applausi per una giovane promessa, ai fischi. Da Arrigo Sacchi che lo chiama in Nazionale a Carlos Bianchi, fino a Nils Liedholm, che allenava già la Roma mentre lui nasceva e che, chissà, forse si ricordava di lui perché nel 1992 era stato al Verona. «Giocavo nella Primavera del Verona. A fine campionato venivo chiamato per le amichevoli di metà settimana contro la prima squadra, che era allenata da Liedholm. Quando nel 1997 subentrò a Carlos Bianchi mi disse: "Tommasi, ti ricordi di me?". E io: "Mister, ma come? Sono io a chiederle se si ricorda di me". E lui: "Sì, mi ricordo, giocavi difensore centrale". Ed era vero. Si ricordava molto bene. La cosa mi stupì e mi fece piacere ».
Ci ha messo un bel po', Damiano Tommasi, per farsi apprezzare. Ma è proprio nei primi anni, con Zeman e nel primo di Capello, che con una grande forza interiore impara, migliora, lavora, fatica, scava, trova in se stesso un campione e lo costruisce. Cita spesso la parabola dell'Orto, secondo la quale il regno dei cieli è come il seme più piccolo che piano piano cresce e diventa più grande di tutte le piante dell'orto.
Nel 2000/01 il giocatore più importante della Roma campione d'Italia – dirà Capello – è stato Damiano Tommasi. Era partito in panchina, in Roma-Bologna, prima giornata. È entrato nel secondo tempo e non è uscito più. Fortissimo. I gol al Lecce, all'Udinese, all'Atalanta. Le sue esultanze. Quel pugno nella pioggia, a Bergamo, è forse l'immagine più bella della Roma campione d'Italia. Proprio nel modo di esultare si era iniziato, dopo averlo apprezzato, ad amare Damiano Tommasi. Perché le sue esultanze erano tutte belle, straordinariamente normali nell'espressione di gioia spontanea e pura, quella di un bambino che gioca ai mondiali di calcio con i fratelli. Te le ricordi tutte e non perché ha fatto pochi gol. Perché erano speciali, come era speciale Damiano Tommasi.
Avrebbe potuto portare a termine una maratona subito dopo aver concluso un allenamento o una partita. Qualche mese fa ha corso una mezza maratona insieme a Simone Perrotta. Correva sempre, con o senza palla, per attaccare o per difendere, per la squadra. Una volta ha sradicato il pallone a Edgar Davids, non proprio uno tenero, che s'è messo paura. Una volta ha perfino fatto il portiere, col Perugia, perché Cervone era stato espulso e i cambi erano finiti. E ha pure fatto una grande parata. Una volta, invece, un difensore dello Stoke City, Gerry Taggart, gli ha fatto un fallo assurdo in amichevole. Solo la diagnosi era più assurda: rottura del crociato anteriore, del crociato posteriore, del collaterale mediale esterno e interno, dei due menischi, infrazione dei condili e del piatto tibiale. Meglio evitare particolari sul versamento di sangue. Durante l'operazione uscì fuori anche il distacco dei muscoli che governano il ginocchio, il popliteo e i flessori.
Chiunque avrebbe smesso di giocare. Lui, il 30 ottobre 2005, 15 mesi dopo, è tornato, negli ultimi minuti di una partita con l'Ascoli che la Roma stava vincendo 1-0 ma che poi, dopo il pareggio dei marchigiani, fu decisa da un gol di Mexes. Considera il ritorno al calcio giocato il più grande successo della sua carriera e il primo gol dopo il rientro, con la Fiorentina, quello più importante. «Sì, la seconda parte della mia carriera a Roma è stata la più bella. Il rientro dopo l'infortunio e aver lasciato il segno in quella stagione è stata la mia più grande soddisfazione. E i tifosi mi hanno riconosciuto ciò che sono stato e ciò che sono riuscito a fare con la maglia della Roma». Giocò un anno al minimo sindacale di stipendio, lui che qualche anno prima s'era preso gli insulti di tutti i tifosi perché bisognava trovare un capro espiatorio per il comunicato sui premi della Supercoppa. Ma come, quello attaccato ai soldi che gioca per 1700 euro al mese?
Damiano Tommasi è così. Ti spiazza, perché non è classificabile. «Spalletti mi aveva richiesto. Io non ero sicuro della mia condizione e ho aspettato. Quando sono stato sicuro ho detto che ero disponibile. Ma era un rischio. Per questo ho accettato di fare un contratto da calciatore col minimo rischio dal punto di vista economico per la società. Ho investito su questa mia esperienza a Roma la possibilità di tornare a fare il mio lavoro». Centrocampista solo polmoni, comprimario, poi miglior giocatore della squadra campione d'Italia e miglior giocatore dell'Italia ai Mondiali del 2002. Il golden gol con la Corea l'aveva fatto lui, ma Byron Moreno... vabbè, lo sapete. Prima fischiato, poi entrato nella Hall of Fame per acclamazione, perché così ci si entra.
Lui ne è orgoglioso e rivendica il fatto di esserne entrato da comprimario. «Consapevole del mio ruolo di comprimario. Da amante di questo sport è una soddisfazione aver avuto la possibilità di condividere esperienze con i numeri uno del nostro sport. Averlo fatto con la stessa maglia mi riempie di gioia». Se gli chiedi di citare qualcuno dei suoi ex compagni, ti parla di Jonas Thern, Eusebio Di Francesco e Ivan Tomic. Passa per essere una specie di prete, ma pare fosse tra i più temuti per gli scherzi in spogliatoio. Ti parla della sua fede, ma non la ostenta e non vuole imporla ai figli. Non impone neanche il tifo per la Roma. Ci hanno pensato da soli. «I due maschietti tifano Roma. Le bambine non hanno preferenze particolari».
E allora ti spiazza fino a un certo punto, quando ti racconta che tra i suoi cantanti preferiti ci sono Bob Marley – ma i riccioli non sono un omaggio a lui ,sono solo pigrizia – e Francesco Guccini. Se gli chiedi di scegliere una canzone per accompagnare un servizio su di lui, ti cita «Ho ancora la forza». All'inizio ti stupisce, ma poi quando la ascolti tutto sommato capisci perché un testo del genere lo rappresenta bene. «Ho ancora la forza – dice il testo – che ti serve quando dici: si comincia». E ancora: «Ho ancora la forza di starvi a raccontare / le mie storie di sempre, di come posso amare, /di tutti quegli sbagli che per un motivo o l'altro so rifare... (…) Ho ancora la forza di non tirarmi indietro / di scegliermi la vita masticando ogni metro/ di far la conta degli amici andati e dire: / Ci vediam più tardi (…) Abito sempre qui da me / in questa stessa strada che non sai mai se c'è / col mondo sono andato / e col mondo son tornato sempre vivo». Più che anima candida, anima vera e forte. Quindi anima romanista, quella di Damiano Tommasi, campione d'Italia. Miglior giocatore della Roma campione d'Italia.
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