Ranucci: “A Report la verità sul sistema Juve. Marotta? Addio strano”
L'intervista al conduttore del programma: "Vi mostreremo un quadro impressionante. Il calcio è la vittima. L’inchiesta potrebbe interessare la giustizia sportiva"
L'inchiesta Alto Piemonte, il mistero del suicidio di Raffaello Bucci, gli affari fatti con i biglietti dello Stadium, i rapporti tra tifoseria bianconera e 'ndrangheta, i legami tra dirigenza juventina e soggetti legati alla criminalità calabrese. Saranno i temi che verranno trattati nella prossima puntata di Report, il 22 ottobre, alle 21,15 su Rai Tre. Il desiderio di saperne di più, in anticipo, ci ha convinto ad intervistare il conduttore del programma, Sigfrido Ranucci. «Partiamo da una premessa – ha esordito – Non ci sono dirigenti della Juventus indagati ma quello che emerge dall'inchiesta è un contatto diretto tra i manager bianconeri e i Dominello, famiglia accusata di avere dei legami con la 'ndrangheta. La questione del bagarinaggio e degli affari con i biglietti dello stadio presenta un connubio chiaro tra certi personaggi, tra persone indagate, dirigenti e anche calciatori della Juve».
Da dove parte l'inchiesta?
«Secondo la Procura la data fondamentale è il 21 aprile 2013: quel giorno si gioca Juventus-Milan. Nella curva juventina spunta uno striscione: "I gobbi". Dietro ci sono Saverio e Rocco Dominello, padre e figlio, è il giorno in cui la 'ndrangheta entra nella curva bianconera».
Il 7 luglio del 2016 arriva il suicidio di Raffaello Bucci, collaboratore dello Slo della Juve.
«Poco prima di mezzogiorno, a Fossano: arriva in prossimità di un cavalcavia con un suv bianco, poi si lancia nel vuoto. C'è un'anomalia: l'auto era della Juve. Bucci non figurava come un dipendente del club perché era assunto da un'altra società ma godeva di alcuni benefit, come appunto il suv. Bucci era l'anello di congiunzione tra club, forze dell'ordine e tifosi. La Juve però aveva il suo Slo ufficiale».
Ce ne sono altre di anomalie?
«Non si spiega perché ad un certo punto uno dei legali dello studio Chiusano, che rappresenta la Juve, va in ospedale, a poche ore dalla morte di Bucci, chiedendo di entrare in possesso del suo telefono e di altri effetti personali. È un particolare non trascurabile. Dal telefonino di Bucci sono emerse cose molto interessanti: sms e foto che riguardano il club e la curva. C'è anche una chat con un'utenza intestata alla presidenza del Consiglio e riferita ad un agente dei servizi di sicurezza. Bucci era un informatore dei servizi. "Sono nella merda" e poi "la mia posizione è bruciata", sono alcuni dei messaggi dove manifestava la preoccupazione di andare a testimoniare in Procura dopo la convocazione. Aveva avvisato anche la Juventus».
Il giorno dopo aver parlato in Procura, Bucci si suicida.
«A Report mostreremo alcune foto tali da creare dubbi sulla vicenda. Bucci è morto per la caduta, ma in base a foto e a perizie sorge il sospetto che prima di lanciarsi nel vuoto sia stato vittima di un pestaggio. Abbiamo ricostruito la vicenda con testimonianze, intercettazioni e documenti inediti. Ma non fatemi anticipare troppe cose».
Sono terminate le anomalie in questa vicenda?
«Veramente ce n'è un'altra. Bucci era intercettato ma il server in uso alla Procura tre ore prima del suicidio ha avuto un blackout. Secondo gli atti quello sarebbe stato il momento in cui comunica con l'agente dei servizi segreti, e chissà con chi altro. Non si sa cosa sia avvenuto in quelle ore precedenti alla morte».
Bucci aveva un conto corrente importante.
«Trecentomila euro che non voleva si scoprissero. Aveva inviato l'ex compagna in Puglia per avvisare i fratelli su un'operazione della Guardia di Finanza. "Devono trovare il barattolo ma non la marmellata", chiaro il riferimento a qualcosa che non dovevano trovare e aveva bisogno di essere messa al riparo».
E la Juve come c'entra in tutta la vicenda?
«Vi posso assicurare che da questa storia emerge un quadro impressionante di rapporti della dirigenza con i tifosi, un connubio spaventoso tra la società e una parte di supporters bianconeri. La vittima di questa storia è il calcio. Sono vittime anche i tifosi per bene. Non si tratta di un'inchiesta contro il calcio ma di un atto d'amore per questo fantastico sport e per i tifosi per bene. Quello che emergerà è un problema etico della gestione del calcio al di là dell'aspetto giudiziario. Fa impressione il quadro complessivo che riguarda una società come la Juventus. Quanto andrà in onda il 22 ottobre potrebbe interessare la giustizia sportiva».
Lei parla di dirigenti, di società. Di chi si tratta?
«Consentitemi di non fare nomi. Emerge soprattutto l'ipocrisia di un sistema».
Con questo sistema quanto c'entrano le recenti dimissioni di Marotta?
«Non sono in grado di dire se siano legate alla vicenda. L'anomalia è il modo in cui sono arrivate queste dimissioni. Non è nello stile Juventus chiudere con un dirigente così importante che ha contribuito a tanti successi. Nessuna conferenza e, a parte il diretto interessato, nessuno ha detto nulla in merito alla separazione dopo tante stagioni di vittorie. È strano come Marotta è andato via. Non è nello stile della Juve».
Quanto lavoro c'è dietro alla puntata di Report?
«Ci sono voluti tanti mesi, si tratta di un lavoro di paziente ricerca di personaggi, situazioni, testimonianze. Sono stato accusato di averlo fatto perché si tratta della Juventus poiché io sono romanista. Non ho mai nascosto la mia fede giallorossa. Ma chi ha realizzato l'inchiesta è Federico Ruffo, e lui è juventino».
Da romanista al Romanista, ci fa un'anticipazione?
«Ve ne ho già fatte molte. Vi ho detto davvero parecchio. Ora guardatevi Report il 22 ottobre. Poi ne riparleremo».
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