L'ingiusta distanza tra squadra e tifosi: così vicini così lontani
Sono loro a seguire Lei ovunque, ma è Lei che dovrebbe trarre esempio da loro. Dalla voglia di non arrendersi, meno che mai preventivamente
L'ingiusta distanza è quella che intercorre fra chi fa di tutto per esserci; e chi è obbligato a starci, ma a volte si eclissa. Fra chi popola gli spalti mosso dai sentimenti; e chi sta in campo, ma non sempre "con tutti i sentimenti". Fra chi continua a cantare anche di fronte alla doppia esultanza - in casa propria - di una squadra ancora sotto zero in classifica; e chi a quella squadra concede il diritto di accorciare i numeri negativi.
L'ingiusta distanza è quella che fa distinguere oggi - e magari, ma magari davvero, non più da domani - la squadra dai suoi tifosi. O meglio, che capovolge il senso fisico del rapporto. Sono loro a seguire Lei ovunque, ma è Lei che dovrebbe trarre esempio da loro. Dalla voglia di non arrendersi, meno che mai preventivamente. Anche a Bologna in tanti, tantissimi, a riempire e colorare il settore dedicato e forse non solo quello. Biglietti esauriti fin da mercoledì, ovvero dal giorno dell'esordio in Champions. Come se i risultati d'inizio anno non li avessero scalfiti. Ma ovviamente non è così: chi vuol bene alla Roma porta addosso ogni minima cicatrice, soffre e tende anche a somatizzare. Basta respirare l'aria cittadina dopo le vittorie o le sconfitte: la differenza è più o meno la stessa che divide chi ha appena riscosso lo stipendio da chi ha ricevuto un'ingiunzione.
Eppure la Sud - intesa come stato dell'anima più che come luogo fisico - è presente sempre. Dopo qualsiasi risultato. Contro ogni avversario, di richiamo o secondario. Sarebbe retorico, perfino pleonastico, ribadire un dato talmente acquisito da essere entrato nell'immaginario collettivo. Chiunque, anche chi è lontano dalle vicende romaniste, sa che può disattendere le aspettative questa squadra, mai i suoi tifosi. L'attuale distanza è ingiusta perché se è un bene che loro fungano da traino, è pure auspicabile che vengano ripagati. Dall'anima in campo prima ancora che dai risultati. Che se restano il motore principale delle emozioni, non costituiscono certo l'unico. Almeno per chi vive la Roma come elemento imprescindibile, più che come argomento principale dello sfogatoio da social.
Perché c'è anche una distanza giusta. Quasi sacrosanta. E che vale la pena rimarcare. Quella che distingue tifo reale e virtuale. Da un lato chi incita, sostiene, supporta. Dall'altro chi insulta, distrugge, (mal)sopporta. Un mare in mezzo. Sulla sponda dello stadio: cori, bandiere, ma anche critiche e contestazioni se necessario. Frutti variegati dell'amore. Dal lato opposto: guerre ad personam dettate da antipatie, distinzioni pretestuose e manichee, schieramenti grotteschi quanto patetici: tutto figlio del livore incondizionato riversato sui social. E allora capita che si perda di vista la ragione principale di questo coacervo di emozioni: la Roma. Con la complicità di risultati che demoralizzano alcuni, fanno distaccare altri, soffrire tutti. Ma che non impediscono ai tifosi, quelli reali che popolano gli spalti, di essere sempre al suo fianco. Questa sì, alta fedeltà.
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