L'infanzia priva di quegli altri
Due realtà così differenti tra loro per colori, tradizioni, atteggiamenti, desideri, ideali e protagonisti, che sentirle accomunate stona completamente
Da ragazzino il derby neanche sapevo cosa fosse. E così, quando allo stadio i tabelloni lampeggiavano, raccontando di un gol preso dalla Lazio a Cava de' Tirreni, a San Benedetto del Tronto o a Campobasso, vedevo gli altri tifosi esultare ed io non capivo.
«Papà, ma a noi cosa interessa?!?». «Niente», diceva mio padre. Accompagnando il tutto con distaccata aria di sufficienza, nei confronti della squadra in questione, e chiosando molto sommariamente – perché non toglieva mai gli occhi dal campo – in due parole due, provando a spiegarmi che nella regione c'era anche un'altra squadra ma che, quella squadra, era ai margini del calcio e che, perciò, neanche era il caso di star lì a perderci troppo tempo dietro. A lui, della Lazio in svantaggio, importava davvero poco. Che mica lo so se, vedendolo, per i biancoazzurri quel disinteresse sarebbe stato un boccone meno amaro dei sorrisi ironici di tutti gli altri che all'Olimpico, dopo il più classico degli «Olé» per averla saputa in svantaggio, ne parlavano con lo stesso atteggiamento con cui il direttore megagalattico giudicava, ridacchiando, il comportamento – goffo, prevedibile e rabberciato – di Fantozzi.
Fatto sta che sono cresciuto senza Lazio. In quegli anni, poi, neanche l'album m'era molto d'aiuto…Troppo piccoli i nomi e i visi di quei giocatori stipati in due-tre sulla stessa figurina, manco fossero su un autobus nell'ora di punta. Quelle, di figurine, le scambiavo tanto al chilo: una trentina assortite per uno della Fiorentina, del Verona. Per arrivare ad Altobelli dell'Inter ne servivano cinquanta, per Falcao… centocinquanta. Che leggendomi si potrebbe pensare che questo racconto è soltanto uno dei tanti-tantissimi modi in cui un tifoso della Roma può divertirsi a gigioneggiare con la terza squadra di Milano. E invece, pensa un po', no: è storia. Due realtà così differenti tra loro per colori, tradizioni, atteggiamenti, desideri, ideali e protagonisti, che sentirle accomunate, in qualche banale servizio in televisione, alla stessa città – da chi, però, racconta la Capitale ma senza conoscerla… – stona completamente. Così tanto che, quando capita, mio padre prende il telecomando e – con la stessa aria di sufficienza di quando la liquidava in due parole – cambia canale. Lo chiamano zapping, io disinteresse.
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