La maledizione del numero 9: chi per il dopo Dzeko?
Storicamente alla Roma per vincere è servito un grande centravanti. Per ora c’è un gigante e si chiama Edin. Chi verrà dopo di lui? Gli occhi puntati all’estero
Quando al 60' di Genoa-Roma, con le squadre ferme sull'1-1, mister Fonseca fa entrare Cristante per Mayoral e sposta Mkhitaryan centravanti ho capito che la maledizione del numero 9 avrebbe continuato a incombere sul futuro della Roma. E quando sette minuti dopo Mkhitaryan faceva gol sbucando in area come un falcone che si getta sulla preda, ribaltando la partita, ho capito che per il ragazzo nato 23 anni fa a Parla, un piccolo comune nei paraggi di Madrid, si stava profilando minaccioso un futuro simile a quello già vissuto da Schick prima e Kalinic poi. Tre centravanti che bordeggiano nei pressi dell'area di rigore, ma non sfondano. Nessuno può dire che non siano bravi, ma nessuno può dire che siano decisivi.
Il fatto è che Dzeko è un gigante, e la sua ombra arriva ovunque. È capace, Edin, di oscurare qualsiasi tentativo di prenderne il posto. Per chiunque non è facile ritagliarsi un raggio di sole. Lo so.
Ma è sempre stato così? Purtroppo nella storia della Roma il ruolo del centravanti è spesso stato determinante per i risultati sportivi. Sono così vecchio da ricordare le partite vissute in curva sud quando a guidare il nostro attacco era Angelo Benedicto Sormani, detto "il Pelè bianco", ribattezzato all'epoca mister mezzo miliardo. Lo comprò il conte Marini Dettina dal Mantova, dove in 64 partite aveva realizzato 29 reti. E allora di gol se ne facevano pochi. In maglia giallorossa Sormani di partite ne giocò 25 e di gol ne realizzò appena 6. «Avevo il mal di schiena», mi rispose quando – da tifoso giallorosso – me ne lamentai con lui qualche anno fa. Fu svenduto l'anno seguente alla Sampdoria. Successivamente avrebbe fatto la fortuna del Milan di Nereo Rocco e Gianni Rivera.
Dunque, da tifoso della Roma, sono preoccupato. Così mi chiedo: e quando Dzeko avvertirà il peso degli anni? Quando la rosa purpurea del suo talento comincerà a perdere i petali? Per vincere, lo dice la storia della nostra squadra, ci vuole anche un grande centravanti. Probabilmente un ruolo più determinante, storicamente parlando, che per altre squadre. Chiudo gli occhi e penso alle formazioni che ho visto all'Olimpico: dagli Anni Sessanta a oggi. Ricordo (vado a braccio, seguendo la traccia delle emozioni) Nicolè, Manfredini, Sormani, Penzo, Enzo, Taccola, Prati. Molti di loro grandi attaccanti.
Tuttavia vi chiedo: senza Pruzzo avremmo vinto il nostro secondo scudetto? E senza Batistuta (e Montella) ci saremmo cuciti sul petto il terzo? E Voeller? E Balbo? Non diventammo campioni d'Italia, ma qualcosa comunque riuscimmo a vincere. Nemmeno Totti, immenso e indimenticabile, ridisegnato nel ruolo di centravanti è riuscito nell'impresa.
Un centravanti non ha necessariamente bisogno di talento per diventare decisivo. La storia di Gabriel Omar Batistuta ce lo insegna. Durante una partita a Reconquista, Argentina, un ragazzo un po' cicciottello che giocava nella squadra peggiore, fece quattro gol. José Griffa, responsabile del settore giovanile del Newell's Old Boys di Rosario, ordinò ai suoi di farlo subito firmare per il club. Gli risposero che quel ragazzo non sapeva giocare. «Nessuno fa quattro gol per caso», fu la risposta. Batistuta non dribblava perché non lo sapeva fare, non inventava perché non era la sua specialità. Pur senza grandi mezzi ma con una straordinaria predisposizione a migliorarsi, il "re leone" ha fatto la storia della Roma. E non solo.
Dei tre vice Dzeko, invece, che cosa ci rimane negli occhi quando giocano? Eleganza (Schick), furbizia (Kalinic), un embrione di talento (Mayoral). Però quando hanno la palla tra i piedi nessuno di noi si aspetta qualcosa di realmente decisivo per le sorti della gara. Ai tifosi avversari non tremano le vene dei polsi. I tre bordeggiano, non sfondano. E siccome Dzeko non è eterno, ha già 34 anni, bisogna da subito pensare a un suo sostituto di egual lignaggio.
È anche vero, purtroppo, che per farlo bisogna guardare all'estero. In Italia centravanti di sopraffino valore non ce ne sono. Sì, Immobile è Scarpa d'oro e tanto di cappello. Ma gran parte dei suoi gol li ha segnati in Patria. Belotti riesce spesso da solo a tenere a galla il suo Torino. Ma tant'è. Così, quando poi li vedi in maglia azzurra, capisci che qualcosa non va. I grandi centravanti sono quelli che i gol li fanno in tutti i campi, soprattutto quando l'asticella si alza.
E ti ritrovi costretto a guardare altrove, sai che la società giallorossa non potrà fare a meno di entrare pesantemente nel bilancio e tirare fuori decine e decine di milioni di euro per colmare la lacuna. La Roma, se vuole tornare a vincere, non potrà sfuggire a questa impietosa legge che il mercato e la situazione tecnica del nostro calcio impongono. Edin Dzeko, che Dio ce lo conservi a lungo, purtroppo non è eterno.
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