Totti, ritratto di un artista: quel che ci manca sul campo
Venticinque anni di un calciatore perfetto, 786 gare da uomo partita con la maglia della Roma. Come potevamo pensare di poter vincere senza di lui?
Ma davvero pensavamo di alzare finalmente un trofeo nel primo anno dopo Totti? Ma sul serio credevamo di poter fare a meno del miglior calciatore italiano di sempre e, addirittura anche in virtù di questo, vincere qualcosa? Parliamone di Totti, parliamone ancora. Ma partiamo da un assunto: la Roma ha perso un giocatore fenomenale e ciò che manca di più di lui a ogni tifoso giallorosso è quello che Francesco faceva in campo. Qui qualcuno, magari col tempo, rischia davvero di dimenticarsene. Maledetto tempo. E invece scorrete queste pagine e ripensate a ogni singola stagione, a ogni mese, a ogni partita, a ogni prodezza, a ogni tocco di palla. E alzi la mano chi non sente un groppo in gola, chi non percepisce la durezza dell'assenza, chi non deve scacciare quel grumo di commozione che sale all'improvviso. La sublimazione di tutto è stato in quel lunghissimo giro di campo di un anno fa, ma in ogni lacrima scesa c'era l'anima di un tocco morbido del capitano, il taglio di un suo cross, l'innesto di una giocata di prima, il fragore di una sua conclusione, il velluto di uno stop in corsa, la melodia di un cucchiaio.
Perché i nostri occhi hanno visto cose che voi umani non potete neanche immaginare. C'eravamo noi, che vedevamo quelle cose ogni giorno, per 25 anni, e c'erano gli altri, tifosi delle altre squadre, che quelle cose le subivano, e osservatori neutrali che magari ne vedevano una sintesi, a volte gli higlights. Ecco, Totti è stato il primo campione a cui gli highlights hanno tolto qualcosa. Un po' come a Messi. Sono (era) di quei talenti che impreziosiscono ogni singola giocata, roba da ohhhh di ammirazione per ciascun pallone toccato. Altro che highlights. La Totticam ci sarebbe voluta, e per un periodo l'avevano anche prevista, ma solo perché quelli che non arrivavano mai a prenderlo si arrangiavano come potevano, con l'anticalcio degli scarponi. Fino a fratturargli la gamba in tre punti diversi. E la Roma pensò di tutelarsi così, con la camera dedicata e una produzione televisiva interna.
Perché Totti è stato un campione anche mediatico, pure se ha cominciato a giocare in serie A che non c'erano ancora le dirette televisive delle partite (arrivarono a settembre di quell'anno di grazia, 1993). Eppure nel resto d'Italia si sono accorti di lui solo quando praticamente stava smettendo, quando la meraviglia che da Roma saliva da decenni ha smesso di essere considerata l'esagerazione di un popolo entusiasta. Solo quando, all'alba del suo quarto decennio di vita, ha ripetuto certe prodezze in ciclostile, e ancora, e ancora, solo con maggior lentezza, ha ricevuto da tutti gli stadi gli applausi che da anni restavano dentro al raccordo, ma soprattutto fuori d'Italia, lì dove il pericolo magari non veniva percepito, e dove magari l'educazione sportiva è una materia ancora considerata. Totti è stato il campione più internazionale del nostro paese proprio perché la sua fama ha varcato i confini a dispetto di un palmares non equiparabile a quello di altri fenomeni e di una costante pubblicità negativa mossa quasi sempre da una forma di disprezzo che ha sfiorato il razzismo.
Ci sono stati editorialisti che non si sono vergognati di scrivere che Totti era un problema per la Roma, che i compagni non lo capivano e quindi lui avrebbe dovuto cambiare gioco, che era discontinuo (lui, migliore in campo quasi per 25 anni di seguito), che in Azzurro ha inciso poco, tanto che c'è stato addirittura chi ha scritto che per la Nazionale ha fatto più Cassano in un'amichevole che Francesco nell'intera carriera, e c'era chi sosteneva senza alcun pudore che quando il barese dava i primi segni d'insofferenza a Roma sarebbe stato giusto liberargli maglia (e fascia) vendendo proprio Totti. Lo hanno messo contro De Rossi, contro ogni allenatore, contro i presidenti, contro i campioni, contro i romanisti. L'ignorante, il coatto, l'insofferente, il ribelle, il "romano". E il figlio di quello, il marito di quell'altro, e pure il papà dei suoi bambini, perché c'era da ridire pure su quello, per i nomi non comuni, magari. Miserie di un paese che non sa darsi una guida politica, figurarsi se poteva apprezzare un campione come lui.
Ecco, tecnicamente Francesco Totti è stato un giocatore mostruoso. Destro naturale, ma capace col sinistro di calciare con la stessa forza e la stessa precisione dell'altro (il gol probabilmente più bello di tutti l'ha fatto col piede "debole", il tiro al volo in casa della Sampdoria sul traversone di Cassetti, oppure basti pensare al pallonetto a Buffon in quel Roma-Parma del 1998), senza un ruolo predefinito, perché ha fatto bene ovunque, da attaccante e da suggeritore, da esterno/ala e da trequartista, da centravanti e da seconda punta, con un fisico da pallanotista e lo scatto del centometrista, longevo come un portiere a dispetto delle rudi maniere di tutti i suoi avversari diretti, capace di esaltare ogni singolo allenatore che ha avuto, temporalmente da Boskov a Spalletti, filosoficamente da Mazzone a Zeman, passando per Carlos Bianchi, Liedholm e Sella, per Capello a Prandelli, per Völler e Delneri, per Bruno Conti e Spalletti, per Ranieri e Montella, per Luis Enrique e Andreazzoli, per Rudi Garcia e il secondo Spalletti, quello che lo amava per le sue qualità e lo odiava per le sue qualità, che secondo lui e qualche altro dirigente dell'ultima gestione cloroformizzava il talento degli altri.
Ecco, il tentativo di detottizzazione della Roma è stato l'errore forse più grave compiuto dalla proprietà americana, sia che fosse un preciso intendimento sia che fosse il riflesso chissà quanto condizionato di una politica per lo meno poco sensibile nei confronti del suo più grande calciatore. Totti non è mai stato un problema per la Roma, semmai la soluzione a tutto. Fuori dal campo e ovviamente dentro al campo. Dove forse il 70%, o l'80% delle 786 partite ufficiali giocate con questa maglia sono state sbloccate da una sua giocata, non necessariamente da un assist o da un gol, ma magari da un cambio di gioco al volo di esterno destro a volo radente, che sembra ancora di sentire il rumore dell'aria tagliata, prima del brusio di meraviglia e quindi di ammirazione e quindi di affetto e quindi di passione e quindi di amore e quindi di riconoscenza di ogni tifoso della Roma, sapendo che è stato nostro dal primo all'ultimo giorno di questo virtuoso cammino. E come potevamo davvero pensare di poter vincere qualcosa senza di lui, anche giocando una semifinale di Champions contro Karius?
© RIPRODUZIONE RISERVATA