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Monchi al Romanista: «Mettete le bandiere sui vostri balconi»

«Non esiste domani, finisce tutto mercoledì, non dobbiamo lasciare dentro niente. Ogni nonno, nipote, figlio, padre, madre: mercoledì giocano tutti»

PUBBLICATO DA La Redazione
30 Aprile 2018 - 09:10

Domenica mattina. Trigoria è baciata dal sole. Fa caldo, ma è un sole da pinne, fucile e occhiali, la voglia sarebbe quella di imitare Pallotta e farsi un bel tuffo in acqua. All'esterno qualche tifoso in attesa e ci ha fatto piacere vederne qualcuno con il nostro giornale in mano. All'interno la Roma di Di Francesco si sta allenando, già proiettata verso mercoledì, la sfida di ritorno della semifinale Champions contro il Liverpool. Il Romanista deve incontrare Monchi, il direttore sportivo arrivato poco più di un anno fa. Ci presentiamo come si deve, il direttore Tonino Cagnucci, il vicedirettore Daniele Lo Monaco, Piero Torri, Valerio Curcio, il nostro fotografo Gino Mancini. I pochi, sintetici ma precisi contatti precedenti, ci hanno fatto capire che Monchi ha intenzione di parlare alla gente romanista. Del Liverpool che c'è stato e, soprattutto, del Liverpool che ci sarà, mercoledì prossimo, i novanta minuti tra i più importanti della nostra storia.

Ha letto il comunicato della Curva?
«Sì. Prima di tutto mi piacerebbe parlare di Sean Cox, dando continuità a quello che ha detto Pallotta. Il calcio e la vita sono due cose diverse in questo caso, io sono molto cattolico e prego per lui e la sua famiglia. Siamo esseri umani, spero che lui possa tornare a tifare per la sua squadra».

Avete avuto contatti diretti con la famiglia?
«Personalmente no, ma sono stati Mauro (Baldissoni ndr) e Umberto (Gandini ndr), con il presidente, a curare questo aspetto. Tornando alla domanda di prima, ho letto quel comunicato, so che non è nemmeno una cosa così solita: siamo di fronte a una partita unica. La storia di questa società dice che solo due volte c'è stata questa possibilità. Nell'84 e ora. È questo il momento di dimenticare qualunque cosa e tifare per la squadra. I ragazzi della Sud hanno detto che devono portare bandiere e voce. Io dico di più».

Che cosa?
«Mi piacerebbe che Roma fosse colorata di giallorosso. Già oggi. Che tutti i tifosi romanisti esponessero le bandiere sui balconi e facessero capire al mondo che Roma tifa Roma. In questo momento in cui si parla di violenza, facciamo capire che il tifoso della Roma non è violento. È il momento di essere uniti. Battere il Liverpool è più difficile che battere il Barcellona. Non esiste domani, finisce tutto mercoledì, non dobbiamo lasciare dentro niente. Ogni nonno, nipote, figlio, padre, madre: mercoledì giocano tutti. Io ho avuto la fortuna di vincere tanto a Siviglia, ma mai avevo sognato di arrivare in finale di Champions. Lo dicevo a mia moglie: ho sognato tante cose e tante ne ho realizzate, ma nella mia testa non c'è mai stata la finale di Champions. Tutti dobbiamo fare quello che dobbiamo fare. Alisson una parata, Dzeko un gol, Daniele un passaggio, gli altri che non giocano trasmettere il proprio tifo alla squadra. E dobbiamo essere convinti di poterlo fare, perché così è più facile farla».

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