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Tra il Dall’Ara e il Camp Nou - Se Il Barça va sotto pressione

In Spagna tutta un’altra gara: Kolarov, come con Guardiola, la chiave per i cambi gioco. E il pressing alto potrebbe mettere in difficoltà Valverde

PUBBLICATO DA Daniele Lo Monaco
03 Aprile 2018 - 06:31

Tra la deludente (almeno nel risultato) partita di Bologna e la partita dell'anno del Camp Nou la considerazione più banale da farsi tra le tante lecite della vigilia sarebbe questa: se la Roma di Barcellona sarà la stessa del Dall'Ara prenderà sette-otto gol. Ma solo perché farà restare male quegli stessi che dopo aver visto Roma-Milan il 25 febbraio hanno ipotizzato che la squadra di Di Francesco andasse a sfracellarsi sei giorni dopo contro il Napoli al San Paolo. Finì invece con la Roma in trionfo e i tanti profeti del nulla ad arrampicarsi sugli specchi per spiegare una partita che ebbe uno svolgimento invece del tutto coerente con quello che le due squadre possono esprimere, specialmente dopo che alcuni episodi chiave si sono risolti a vantaggio degli ospiti. A Barcellona sarà una partita simile che molto probabilmente alla fine vedrà la formazione di Valverde imporsi. Probabilmente, appunto: ma a differenza di quel che accadde il 24 novembre 2015, stavolta quel margine di imprevedibilità poggia anche su qualche solida considerazione tattica e non esclusivamente sul calcolo delle probabilità, come quel giorno. Allora la Roma non aveva alcuna chances razionale da giocarsi: la sconfitta fu se possibile più umiliante di quel 6-1 finale. Il dato della probabilità della vittoria finale del Barça (confermato anche dai bookmakers che danno il segno 1 tra l'1,19 di Bet365 e l'1,25 di William Hill) fa riferimento alla differenza di valori tecnici (soprattutto con Messi in campo) e anche alla statistica più spaventosa di tutte: dopo la sconfitta agostana di Supercoppa col Real (1-3), il Barcellona in casa ha giocato altre 22 partite vincendone 20 e pareggiandone 2, non segnando solo in un'occasione, nel pareggio casalingo col Getafe). Dunque Barça strafavorito, ma Roma che spera e studia. E più studia e più spera. Vediamo perché.

La regia di Kolarov

Se è vero che da qualche tempo la Roma non si affida più solo a Kolarov nell'impostazione della sua manovra (anche a Bologna, come già accaduto a Crotone non è stato il terzino serbo a toccare il maggior numero di palloni), è lecito stavolta aspettarsi che proprio nell'impostazione dalla sua parte venga dirottato il maggior numero di palloni per la verticalizzazione rapida con la catena con Strootman e Perotti (a Bologna da quella parte hanno giocato Nainggolan, finché ha resistito, e poi Gerson) ma anche per la possibile variazione col cambio gioco immediato sul lato debole dove giocherà l'esterno alto di destra. La stessa risorsa fu utilizzata da Guardiola nel confronto (didatticamente degno della più nobile cattedra tattica del mondo) tra Barcellona e City (19 ottobre 2016), finita malamente per Guardiola per via della sciaguratezza del suo portiere Bravo (espulso ad inizio ripresa) e del furore di Messi. Ma Kolarov fu spesso utilizzato in fase di prima impostazione proprio per cercare l'immediato rilancio diagonale. Se c'è un tallone d'Achille per il Barcellona (un po' meno sensibile, a dir la verità, dopo la cura difensiva imposta da Valverde) è proprio nella scopertura estrema del suo lato debole, conseguenza del pressing che tutta la squadra porta in zona palla. E anche a difesa schierata ultimamente sembrano meno attenti: vedi il gol di Vazquez a Siviglia e la dormita (di quattro secondi) di Umtiti.

Le pressioni

Molto si giocherà anche nelle differenti impostazioni del pressing, che rischia di essere addirittura più alto sul fronte romanista che viceversa. E se la cosa riuscirà già questa sarebbe una bella iniezione di fiducia di cui potranno nutrirsi i romanisti in corso d'opera, esattamente come è successo al San Paolo contro il Napoli. In linea di principio, un po' come la Roma ha fatto a Charkiv con lo Shakhtar e appunto a Napoli, Di Francesco chiederà ai suoi in qualche fase della partita di armarsi di coraggio e indossare la veste più spudorata, alzandosi con De Rossi fino al disturbo di Busquets, con le tre punte a dividersi su portieri e centrali e le mezze ali sui centrocampisti e i terzini addirittura sui terzini, lasciando libero l'attaccante opposto e mostrando grande aggressività con i centrali. Il piano B prevede Dzeko su Busquets, gli attaccanti esterni sui terzini, le mezze ali a controllare da lontano l'impostazione dei centrali avversari e, a scalare dietro, meno aggressività e più prudenza. Ma comunque sempre grande presenza di spirito per non lasciare ai catalani il controllo psicologico della partita ma per indurli anche a sbagliare qualcosa (e se sono loro a dover recuperare, vedi grafiche a fianco, lasciano tanti spazi agli avversari). Questo è il concetto su cui maggiormente l'allenatore andrebbe appoggiato: attraverso questo lavoro quotidiano sta continuamente alzando l'asticella della concentrazione e della mentalità della sua squadra. Se in parte la Roma e con più continuità il Napoli hanno insidiato lo scudetto alla Juventus fino a oggi è solo perché attraverso queste virtù hanno potuto ridurre l'evidente gap tecnico. E chissà che succederà a Barcellona.

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