Luca Di Bartolomei scrive a De Rossi: "Dopo domenica non sarò più io"
"Chiudi il tuo ciclo e con te chiudo un pezzo di strada anche io. Anche noi. Come se finisse la mia adolescenza da tifoso, da romanista. Sei stato il giocatore che avrei voluto essere"
Elenco non esaustivo delle cose che amo di Roma. Il portone della Pisacane e girare in motorino fra Torpigna e Largo Preneste dove giocavo a calcetto. L'odore che si sente dalla panchina in fondo a sinistra nel giardino degli aranci: lì dove ho baciato la donna che amo. Camminare di notte fra piazza dell'emporio e l'isola: quando mi assalgono i fantasmi, mi sento solo e vorrei Ago vicino. Tu, Daniele, che abbracci l'Olimpico con lo sguardo e per un attimo, ancora adesso, dopo tutti questi anni ti meravigli. E adesso chi ridarà quello sguardo? Domenica è giusto, sarà una festa: ma poi anche io non saró più lo stesso.
Chiudi il tuo ciclo e con te chiudo un pezzo di strada anche io. Anche noi. Come se finisse la mia adolescenza da tifoso, da romanista. Sei stato il giocatore che avrei voluto essere; anche nelle cazzate che tanto mi mandavano in bestia. Quelle per le quali sapevi chiedere scusa: il che ha sempre distinto il tuo essere uomo prima che calciatore, nonostante tutto. Per me sarai sempre uno di noi. Noi all'apparenza silenti, romanisti razionali, che poi partono di capoccia. Con te, noi, abbiamo calpestato ogni volta l'erba dello stadio. Che con te, Roma Capoccia, abbiamo condiviso sudore, lacrime, adrenalina e reazioni. Con te la gioia, l'abbraccio, il gesto scaramantico. Con te il ballo di San Vito del gol segnato, la rabbia di quello subìto.
Siamo stati, insieme, la classe operaia che va in paradiso indossando una maglia sangue e arena. Tra le nostre certezze di tifosi ce n'era sicuramente una: che tu avresti dato tutto senza tirare i remi in barca, anche quando dar tutto poteva sembrare fatica sprecata, fiato buttato. Ma non c'è nulla di sprecato o di buttato nella voglia di tenere la testa alta. Ora che chiudi – non perché tu lo volessi, ma a questo ci arriviamo – mi viene da pensare a tutte le volte che ti ho visto, che ho strillato, alle cose che dicevi in campo e a quelle che dicevi fuori. Ti ho visto "invecchiare" allo stesso modo in cui sono invecchiato io. Acquisendo consapevolezza e profondità ma senza perdere quella ruvidezza, quella spontaneità che si conciliano poco con l'età. L'avevo capito – l'avevamo capito tutti – che qualcosa non andava in questi mesi, che la rottura era sempre in agguato più per sfinimento che per conflitto. Eppure avevo coltivato una speranza di quelle un po' irragionevoli ma che mi era sembrata persino troppo ragionevole, quasi l'uovo di Colombo. La società pensava davvero che fosse arrivato il momento di ringiovanire la squadra, che andava aperto un ciclo nuovo. Uno può essere d'accordo oppure no ma avevo creduto che questa fosse l'occasione giusta di puntare su di te, non più con gli scarpini ai piedi ma seduto in panchina. Un allenatore senza patentino? Abbiamo visto di ben peggio e i patentini non garantiscono nulla, mentre Daniele avrebbe garantito quel cambio radicale che ci aspettiamo. Un cambio fatto di ragazzi motivati, di giovani da buttare nella mischia, lasciando alle spalle le pressioni e l'ambiente che sono da sempre il nostro "male oscuro": provandoci, sempre. Chi come noi ha tifato "romette" ben più modeste avrebbe risposto con amore, al di là di ogni ragione. Non gli urlatori professionisti, gli odiatori della domenica, gli sbruffoni e i bulli: non i maiali con e senza microfono. Ma quel popolo di persone che - come succede sempre a Roma- sa mischiare la leggerezza e qualche volta il sorriso smagato di chi ne ha viste troppe ed ha la passione che non conosce dubbi. Ho seguito – come tutti – gli annunci, le conferenze stampa, le dichiarazioni il ping pong sui social, il rumore di fondo degli opinionisti immaginari. Tutto questo mi hanno lasciato con la bocca amara e con qualche certezza in più. Non ho capito molte cose sulle logiche della società che alterna ragionamenti da club super-moderno e super-professionale con tante parole inglesi a atteggiamenti da manager delle fabbriche di tappi, come se non contasse nulla quel crogiolo di sentimenti e di passioni che si porta dietro una squadra col suo marchio fatto di colori e di simboli. La certezza è che quel sentimento di amicizia e di fiducia che per tanti anni abbiamo riposto in te fosse ben meritato e ci mancherà. Anzi già ci manca mentre ancora aspettiamo di arrivare domenica sera all'Olimpico per far vibrare lo stadio come fosse un corpo solo. Tu Daniele ti meriti tutto il meglio: meravigliati, viaggia, studia. Affina il tuo dovere di essere d'esempio: lo devi a noi e in primis a te. E chissà se il nostro ingenuo sogno non finisca per realizzarsi prima o poi. Auguri Ciccio.
© RIPRODUZIONE RISERVATA