Un sì anche per te, caro Ingegnere
Il commento di Piero Torri al definitivo ok della Conferenza dei Servizi al progetto dello Stadio della Roma
Ho sessantuno anni. Cinquantacinque di memoria romanista: due scudetti, nove coppe Italia, un paio di Supercoppe, una finale di Coppa dei Campioni, una finale di coppa Uefa, una Coppa delle Fiere che poi altro non è che l'immagine ormai quasi sbiadita ma non scolorita di un bambino con la bandierina giallorossa in mano, felice di festeggiare la prima squadra italiana capace di vincere in Europa. E poi, e poi, una serie quasi infinita di delusioni, vissute comunque con l'indipendenza del tifoso giallorosso e che non hanno mai avuto la forza di intaccare il sentirmi romanista nell'anima perché chi tifa Roma non perde mai. Ecco, ieri, quando poco prima delle venti, a un'ora dalla sfida con il Qarabag che dopo ci avrebbe portato, da vincitori del girone, negli ottavi di Champions, è arrivato il definitivo sì allo Stadio, insieme a tutti gli amici della meravigliosa redazione di questo giornale, romanisti come e più di me se mai fosse possibile, ho provato un'emozione che vale mille scudetti. Perché come diceva il nostro capitano Agostino Di Bartolomei, «ci sono i tifosi di calcio e poi ci sono i tifosi della Roma».
E la prima immagine che ha illuminato i miei occhi, rigati da una lacrima d'amore, è stata quella di un Presidente. Il Presidente che ha cambiato la nostra storia: l'Ingegner Dino Viola. Il primo a volere la nostra Casa, il nostro Stadio. Un uomo capace di anticipare il futuro, peccato fosse circondato da miopi burocrati che non riuscirono a condividere la sua visione. L'avessero fatto, sono convinto che la nostra bacheca oggi sarebbe meno spaziosa di quello che continua a essere. Ecco, questo sì allo Stadio della Roma, a Casa nostra, Pallotta capirà, è anche per lui, l'Ingegnere, con al fianco l'eleganza e il sorriso di donna Flora, i figli Ettore, Riccardo e Federica.
Sarò un romantico d'altri tempi e fuori tempo, ma questo sì al nostro Stadio, alla nostra Casa, mi ha regalato la mia giovinezza che ho sempre cercato di non tradire nonostante il passare degli anni e lo spuntare dei capelli bianchi. Perché, e lo dico per quei ragazzi che hanno ancora tanto futuro romanista davanti, io me lo ricordo l'ingegnere prendere la Roma nel 1979. Cominciare a parlare di sfida alla Juve e Stadio. Andare avanti con il progetto con svariati sindaci, sempre più convinto che fosse necessario farlo soprattutto dopo l'assegnazione dei Mondiali del 1990 all'Italia, con la punizione di dover andare a giocare al Flaminio. Sembrava fatta nel 1987. Serviva solo l'ultimo sì. Che, invece, non arrivò mai, trasformandosi in un no all'intelligenza. I burocrati preferirono votare per la ristrutturazione dell'Olimpico, uccidendo il sogno dell'Ingegnere e di generazioni di romanisti. Trenta anni fa esatti. Pensate se quel sì fosse arrivato allora, come sarebbe potuta cambiare la storia della nostra Roma.
Ecco perché, ieri, quando è arrivato quell'ultimo sì, frutto di una proprietà americana, il mio pensiero e la mia commozione sono stati per l'Ingegnere. E per tutti quei romanisti che sognano da generazioni, chi più, chi meno, di avere un'altra casa. La Casa della Roma. La nostra Casa. L'avremo.
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