Ranieri vuol dire fiducia
L'arrivo del tecnico una marcia in più: a piccoli passi, senza squilli di tromba iniziali o particolari rivoluzioni. Semplicemente restituendo tranquillità
Che a quattro giornate dalla fine la Roma possa ancora ambire alla qualificazione in Champions è una sorta di miracolo. Lo ha ammesso più di un protagonista di campo nelle ultime settimane, lo pensavano più o meno tutti appena un mese fa, per come si era messa la stagione.
Il problema non risiedeva tanto nei punti che separavano da un quarto posto comunque mai agguantato finora (non ci sono mai state distanze siderali anche per l'altalena di risultati delle concorrenti), quanto nelle sensazioni che regalava - si fa per dire - la squadra. Molle, perforabile, spesso in preda a crisi di nervi e mai in grado di dare certezze, nemmeno quando accumulava vantaggi cospicui.
L'arrivo di Ranieri ha donato la fiducia mancante. A piccoli passi, senza squilli di tromba iniziali o particolari rivoluzioni. Semplicemente restituendo tranquillità. A tutti. A un ambiente depresso e stressato, come ai giocatori apparsi per larga parte dell'anno fin troppo lontani dai rispettivi standard per essere verosimili.
Chi si stava mantenendo su buoni livelli nonostante le difficoltà collettive è esploso definitivamente, toccando livelli di eccellenza assoluta (El Shaarawy su tutti); chi stava deludendo le attese o dispensando prestazioni a singhiozzo (Nzonzi, Kluivert) è in netta ripresa; chi sembrava irriconoscibile (Fazio, Pastore), ha ritrovato la retta via. Nessun incantesimo è servito: il tecnico romano non è tipo da strane alchimie, punta piuttosto sulla semplicità dei messaggi e sullo stimolo della fiducia. Di gruppo e individuale. Basti pensare alle parole dedicate a Javier Pastore, fino alla gara col Cagliari oggetto misterioso nella migliore delle ipotesi, quando non inesauribile (e a volte stucchevole) fonte di sarcasmo.
«Gli ho detto di giocare come sa fare lui con la palla, e come gli dico io senza palla», la rivelazione dell'allenatore nel post-partita. Elementare, Flaco. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: l'argentino è tornato a incantare (sia pure in una gara contraddistinta almeno a tratti dai ritmi balneari del Cagliari, che ormai ha poco da chiedere al campionato), sfoderando i colpi che gli sono propri da sempre e gli sono stati negati dalle precarie condizioni, ma soprattutto rientrando nel vivo del gioco. Anche sacrificandosi quando necessario. E non è stato certo l'unico, ieri come nelle ultime gare.
Dal secondo tempo con la Fiorentina in poi, pare essere scattato qualcosa nei meccanismi mentali della Roma. Non può essere un caso che in tre delle ultime quattro giornate la porta sia rimasta inviolata, tantomeno che i pericoli subiti si contino sulle dita di una mano. La semplicità conta più dei miracoli. O quantomeno aiuta a realizzarli.
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