Ciao 'nvidiosi
Sappiamo che nutrite il recondito desiderio di vederci uniformati a voi. Grigi. Tristi. Incapaci di un’esplosione di gioia tanto spontanea, genuina e sì, eccessiva. Ma noi siamo fatti così. E lo rivendichiamo
E meno male che per qualcuno era «una coppetta». A giudicare dai travasi di bile che gli ha causato verrebbe da ringraziare gli dei del calcio che non si trattasse di una coppona. Chissà a quali mancamenti avremmo assistito in quel caso, se già così si avverte tanto diffuso e soprattutto malcelato fastidio per il trionfo della Roma, certo: questione di tifo e anche chi si spaccia neutrale (con scarsi risultati) può essere compreso. Evidentemente alla manfrina del calcio italiano beneficiario del successo giallorosso non credeva nemmeno chi l'ha propinata.
La corsa a svilire la vittoria si è svelata già nelle 24 ore successive: fra media intenti a insinuare dubbi; presidenti intrisi di spocchia "dall'alto" di bacheche con pezzi unici di trofei internazionali risalenti a decenni fa; altri club che rivendicavano vittorie mai ottenute di oltre un secolo prima, nell'affannosa rincorsa a voler pareggiare i conti (che tenerezza). Certo, non abbiamo battuto squadroni del calibro di Losanna, Partizan, Panionios, Lokomotiv e Maiorca, ma ci accontentiamo. Non siamo come le altre corazzate italiane, che da 12 anni fanno incetta di titoli europei (ah... no), ma a noi sta bene anche così. Saranno problemi nostri? Fin qui l'ambito sportivo.
Ma mica è finita. Perché a questi maestri di vita sempre pronti a impartire lezioni non richieste quando c'è da bacchettare la Roma (accadeva già con Totti e De Rossi, ora è il turno di Zaniolo) non vanno giù nemmeno le modalità dei nostri festeggiamenti. «Eccessivi» nella migliore delle ipotesi, quando non «provinciali», «privi di umiltà»(!) . Eh già. Come se un qualunque invitato (o addirittura no, in questo caso) a un matrimonio o a qualsiasi altra celebrazione, si sentisse in diritto di sindacare le scelte dei festeggiati.
Ne abbiamo lette e sentite di tutti i colori (due in particolare). Sono stati sfoggiati sorrisini sarcastici ma a denti strettissimi, tuttavia non tanto da celare la bavetta livorosa. Punte di razzismo occultate dietro l'apparente ossequio al politically correct (decidetevi però: o vale sempre o mai, le targhe alterne non funzionano). Utilizzata perfino l'arma evergreen dei bambini nel surreale polverone sull'inno a scuola.
Ancora una volta però vi comprendiamo: siete gli imbucati alla festa del liceo che nessuno si fila, i batteristi della banda di paese che insultano Keith Moon per lanciare il proprio disperato grido al mondo: «Eeeeehiiii, ci sono anch'io, sono quiii, yuhuu». E vabbè, vi guardiamo. Ci hanno costretto a guardare un mediocre ex calciatore pontificare di salmonari - salvo poi dileguarsi nell'ora del tripudio - possiamo farlo anche con voi. È il privilegio di chi è felice: riesce a sopportare perfino chi pretenderebbe di decidere la misura della felicità altrui (anzi, istruzioni per l'uso gratuite: gode di più di fronte alle infinite e grottesche rosicate).
Sappiamo che nutrite il recondito desiderio di vederci uniformati a voi. Grigi. Tristi. Incapaci di un'esplosione di gioia tanto spontanea, genuina e sì, eccessiva. Ma noi siamo fatti così. E lo rivendichiamo. Perché l'amore – quello vero – è sempre eccesso, istinto, volo dell'anima. Non ha freni, non è schiavo della razionalità, se ne frega dell'apparenza. E se non lo capite ci dispiace per voi. O anche no. Ciao 'nvidiosi.
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