L’ombrello che copre la vergogna
Daniele Lo Monaco commenta le mancate dimissioni del presidente della Figc Carlo Tavecchio
Al solito, le sole parole di buon senso dentro un'altra inutile giornata per il calcio italiano sono arrivate da Damiano Tommasi: «Volevo si ripartisse da zero, era l'unica cosa che mi interessava. Il Presidente Federale ha detto che non si dimetterà, mentre gli altri non hanno preso alcuna posizione. Le cariche del Consiglio Federale dovrebbero essere azzerate. Il calcio italiano ha bisogno di qualcosa di diverso». Lo aveva detto già al Romanista: senza la comprensione del problema, inutile cercare le soluzioni. Il calcio italiano invece vuole ripartire dalle soluzioni tampone, dalle "virgole", come le ha definite Damiano l'altro giorno. Basterà il sì di un big della panchina, con un ombrello grande e capiente da far stare tutti sotto finché non finirà il temporale. Se sarà Ancelotti lo vedremo nei prossimi giorni: la speranza dei "federali" è che l'ingaggio di un grande commissario tecnico faccia dimenticare tutto il resto. E se conosciamo un po' questo paese - e soprattutto la tendenza a dimenticare di molti grandi giornali che in cambio di buoni rapporti istituzionali abdicano al loro compito di cani da guardia, salvo poi indignarsi a gettone per un'eliminazione mondiale - il tentativo in atto di salvare le poltrone avrà successo.
Dice Tavecchio, in pratica, che non si dimette perché a parte questa cosetta della Svezia tutto il resto è stato fatto bene. Liedholm almeno usava la sua infinita ironia in questi casi: «A parte il risultato avete fatto bene», consolava i suoi giocatori dopo un bruttissimo 4-0 al passivo. Un po' quello che ha provato a dire Ventura. Solo che almeno Gian Zero (cit. Repubblica) è stato messo in condizione di non nuocere ulteriormente (esonerato: così si porterà tutti i soldi a casa, giustamente, visto il gran lavoro svolto) da chi poteva farlo. E cioè Tavecchio stesso. Mentre nessuno ha il potere di mandare a casa il presidente federale.
Il capo del Coni, Malagò ci aveva provato martedì, ieri sera lasciando l'ufficio ha espresso il suo malcontento: «Non ha voluto seguire il mio consiglio, io non ho il potere di fare altro. Poi se il Consiglio Federale intende proseguire su questa squadra se ne assumerà le resp onsabilità».
È questo il calcio italiano. Battute, mezze frasi, brevi comunicati a mezzo stampa. Poi le strategie si decidono a cena, possibilmente in presenza di Lotito, attivissimo a Milano anche al termine dell'ignobile serata di San Siro, con Preziosi e tanti altri colleghi dello stesso livello. In un noto ristorante milanese hanno mangiato e scherzato a lungo, festeggiando l'assoluzione per la storia degli adesivi di Anna Frank e preparando la strada alla conferma di Tavecchio nonostante l'eliminazione mondiale. Tanto poi arriverà Ancelotti a coprire tutto.
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