Francesco Rocca, l'intervista esclusiva: «Io dico solo grazie»
La terza e ultima parte dell'intervista di Tonino Cagnucci a Francesco Rocca
LEGGI LA PRIMA PARTE DELL'INTERVISTA
LEGGI LA SECONDA PARTE DELL'INTERVISTA
«Nell'intervista che ho fatto io con te ho raccontato la mia storia. Nella prima parte c'è la storia di Francesco Rocca innamorato della Roma che giocava a calcio, nella seconda la storia di Francesco Rocca che innamorato della Roma ha fatto tutto il possibile per tornare a giocare ma è stato tradito dagli uomini e oggi voglio solo ringraziare e chiuderla qui».
Ringraziare i tifosi?
«No, loro già li ho ringraziati e li ringrazierò sempre. Io ringrazio tutti quelli che mi hanno apprezzato e mi apprezzano e che hanno avuto a che fare con me in questi quarant'anni di carriera. Io non cerco niente. Io non chiedo niente, non l'ho mai fatto in quarant'anni pensa se lo faccio adesso».
E adesso?
«Io sono un uomo di sport. Io sono un tecnico. Nel mio lavoro debbo comandare perché sono l'allenatore, un allenatore che insegna con l'esempio: severo, cattivo, determinato. Insegno sacrificio, sudore, fatica e la cattiveria agonistica per vincere. Questo è Francesco Rocca allenatore. Se ti sta bene mi chiami, sennò amici come prima. Nessun problema. Io non voglio sottostare a nessuno, soprattutto a chi è incompetente in questioni fisiche – come la preparazione atletica, particolarmente - tecniche, tattiche e morali. Perché per me è sempre prioritario l'aspetto morale».
La morale e l'amore: tornare alla Roma?
«La Roma a me non deve niente e io non debbo niente alla Roma, così come la Federazione non mi deve niente e io non devo niente alla Federazione. Perché alla Roma ho dato il massimo come giocatore e dalla Roma ho ricevuto, perché alla Federazione ho dato il massimo come allenatore e dalla Federazione ho ricevuto».
Con tutto quello che è successo ti ritieni un uomo…?
«Realizzato. Ho passato delle difficoltà inenarrabili e le ho superate, lo dico adesso con lo sguardo da "maestro". È la storia mia che parla. La curiosità mia era quella di allenare un club per sperimentare un mio metodo che è frutto di 42 anni di esperienze internazionali dirette e di studio. Non l'ho fatto. Se qualcuno vuole io sto qua, sennò non c'è nessun problema».
Perché non ti hanno mai chiamato?
«Perché il mio metodo prevede un rapporto diretto. Io faccio solo sport, non altro. Non faccio marketing, pubblicità o televendite. Non ammetto intermediari. Ne rispondo in prima persona. Se sbaglio cacci me nessun altro, i miei collaboratori costano 5 euro: un cappellino e un fischietto. Ma devo comandare io».
Parli di procuratori?
«E certo. Tutti gli allenatori hanno i procuratori, tutti, io non ce li ho. Perché io parlo direttamente ai tifosi e ai giocatori, e i giocatori rispondono a me e ai tifosi, non a 4-5-6 preparatori, a 7 procuratori, al tattico, al motivatore... Il motivatore? Ma che è? Il motivatore so' io , me so' motivato io tutta la vita pe' campa e me serve un motivatore? La cattiveria agonistica te la insegno io. E la società con me se vuole risparmia milioni di euro. Non solo come commissioni, percentuali varie, ma con tutto perché con me i giocatori non si fanno male se non per un fatto traumatico. Io salvaguardo la salute dei calciatori e salvaguardo il patrimonio calciatori per il club. Questo è Francesco Rocca allenatore. Scrivi: non vorrei che qualcuno pensasse che Francesco Rocca vuole rientrare o cose simili: a me la Roma non deve niente . N-i-e-n-t-e. Io non voglio fare l'ex giocatore. Io sono un'altra cosa. La Roma mi ha dato tutto quello che era di sua competenza e io le ho dato tutto quello che potevo. Poi dietro ci sono altre cose, e quello è un fatto morale».
E la Nazionale?
«Allenare in Nazionale è la cosa più difficile al mondo, evitare di far male ai giocatori in Nazionale è la cosa più difficile al mondo perché ognuno viene da una sua preparazione, quella coi rispettivi club, e perché hai poco tempo a disposizione. Devi trovare una doppia sintesi. Questo è l'orgoglio mio più grande della carriera: nessuno si è mai fatto male con me, in 27 anni nessuno. Trovatemelo! Trovatemi uno che mi dice "io mi sono stirato con Francesco Rocca". Non esiste».
È un dato enorme che non può lasciare indifferenti.
«Tutti mi stimano, in privato sapessi quanti mi hanno ringraziato. Ma davanti, pubblicamente non lo dice nessuno. Anzi, c'è sempre la favoletta di Rocca allenatore troppo duro e impossibile da sopportare».
Perché?
«Perché si bruciano, non sono gradito, sono scomodo, non sono trattabile... Ma chi ci rimette sono loro perché con me i giocatori allungano la carriera di almeno 7 anni, è sicuro, garantito dal mio metodo di lavoro».
Qual è il tuo metodo?
«Non lo dico a nessuno, è un segreto professionale, perché l'ho codificato io con quelle cose che ti ho fatto vedere l'altra volta. È un metodo che ho sperimentato su di me, sulla mia pelle, e che sperimento ogni giorno. Questa è la sintesi del discorso, perché i discorsi sarebbero tanti da fare e noi li abbiamo toccati l'altra volta e l'altra volta ancora. Ma io oggi voglio ringraziare. Un ringraziamento particolare lo devo fare alla mia famiglia; ai miei figli perché pur nell'immagine del genitore che aveva difficoltà, in quelle difficoltà hanno trovato l'esempio per questi 25 anni. E a mia moglie che mi ha sempre supportato. E ringrazio Dio».
Alessandro, tuo figlio più piccolo, è della Roma?
«Sì».
Va allo stadio?
«Sì, sì. L'ultima l'abbiamo vista insieme, io e lui a Roma-Atletico Madrid di Champions League nella tribuna della Hall of Fame».
Ecco, l'Hall of fame è un modo che una società ha per riconoscere, in tutti i sensi, il proprio passato?
«Come no? Ci mancherebbe. È una cosa bellissima. te l'ho detto: io mi sono commosso e stupito quando mi hanno comunicato di esserci. Perché io ho giocato tre anni e ormai troppi anni fa. Ma i tifosi si sono ricordati di me. Io questa cosa davvero... Mi sorprende. L'Hall of fame è un riconoscimento a chi ha partecipato alla Roma e che non va dimenticato. Detto questo lungi da me avere un secondo fine. Questo me lo devi riuscire a trasmettere bene: io non ho bisogno di collaboratori, di intermediari. Io non chiedo niente a nessuno. Con me nessun problema, basta alzare il telefono e dirmi "mister vuole venire ad allenare?" Io gli rispondo: "Sì che me fate fa?". I soldi vengono dopo, vengono sempre dopo. I soldi sono una conseguenza di quello che faccio: se io vado in una società poi faccio quello che dicono gli altri, e prendo pure i soldi per questo, per me significa che quei soldi li sto rubando. Io non voglio ruba'. Mi devi cacciare a me. In quasi tutte le situazioni del calcio adesso non si sa mai chi è il responsabile di chi e di che cosa, invece con me è semplice: sono io l'unico responsabile, sempre, di tutto. Controllo l'alimentazione, il comportamento, il peso, l'allenamento, la tattica, la biomeccanica. Lo faccio con una parola sola: l'esempio».
Com'è il tuo esempio?
«È devastante. Il mio esempio è lo sport fatto con la fatica, con il sacrificio, con il sudore e attraverso la meritocrazia. Cioè lo Sport. Il senso profondo delle cose. Ti puoi chiamare come ti pare... Ma in mezzo al campo per essere vincente devi essere perfetto e la perfezioni si fa soltanto con l'esempio, non con le chiacchiere. Di chiacchiere se ne fanno tante. Se vince uno è bravo, se poi perde è asino, se poi rivince ritorna a essere bravo. Così è facile e non è giusto; così diventa l'altalena del giudizio e invece lo sport ha delle regole che sono immortali: esempio, sacrificio, fatica e sudore che era quello che facevo io da giovane. Solo che da giovane ero allievo, poi si diventa maestro. E quando si muore si muore da maestri, è quello che lasci in eredità ai tuoi figli e agli altri: la lealtà, la correttezza, la sapienza. Questo è il mio esempio».
Così è impossibile trovare una squadra?
«Chi mi vuole alza il telefono e parla con me non che chiama l'agente. I procuratori non mi possono vedere perché - intanto - pretendo il rispetto delle regole pure da loro: il peso, l'alimentazione eccetera. Il motivo per cui non ho allenato è solo questo, perché di me hanno parlato tutti per sentito dire, "non fa mangiare" "è troppo duro" eccetera eccetera tutte favole metropolitane: la realtà è che con me nessun giocatore si è mai fatto male a livello muscolare, questo è il dato inconfutabile. Zenga, Vialli, Mancini, Ancelotti, Totti, Baggio, Nesta, Delvecchio, Del Piero eccetera in 27 anni di calciatori in Nazionale nemmeno un infortunio muscolare. Il motivo per cui non ho allenato è solo questo, ma a me non frega nulla: non accetto compromessi, non accetto ordini da chi non ha la statura morale e tecnica di poterli dare, non rinnego il mio metodo di lavoro. Non tradirò mai i principi per cui ho vissuto che sono gli stessi che avevo quando indossavo la maglia della Roma. Bisogna essere un esempio. Punto. L'intervista per me è finita qui, ringrazio tutti. E' stata la prima volta che ho parlato di tutto quello che mi è successo. Questa storia qui, qui finisce».
Francesco Rocca, la Roma.
LEGGI LA PRIMA PARTE DELL'INTERVISTA
LEGGI LA SECONDA PARTE DELL'INTERVISTA
© RIPRODUZIONE RISERVATA