Vinci per noi
In una giornata in cui il pensiero non può non andare a Genova, in campo la Roma per cercare di sognare con l’esempio dei suoi tifosi
Stavolta non ha il sapore del capodanno di chi scandisce il tempo in stagioni e non in anni; nemmeno il brivido del primo giorno di scuola, con colori annessi di diari e divise. Poi forse alle sei oggi pomeriggio quando (ri)giocherà la Roma queste parole saranno trapassate, anzi sicuramente sarà così: quando la Roma gioca è solo un'emozione. E bella. E vera di cui non vergognarsi. Ma forse pure per questo sarebbe stato meglio non giocare. L'importante è sempre non essere ipocriti, ma nemmeno giocare a sfidare sempre il senso comune e tutti i protocolli che è un altro modo per mettersi in posa. Genova sta lì, quel ponte spezzato è un'immagine terribile e già storica. Un discorso appena eppure eternamente sospeso.
Il protocollo, la retorica, i moralismi e i formalismi, il politicamente corretto non li amo per niente ed è pure vero che una giornata di lutto spesso serve solo a lavare qualche coscienza, ad assumere un'altra posa, a prendere tempo magari soltanto per ottenere il lasciapassare per far poi finta di niente. Una bella verniciata sopra la coscienza come obolo a tante false coscienze. Così come è vero che il calcio è vita, il calcio è un fiore, e magari anche un'occasione - fosse anche un minuto di silenzio - per ricordare le vittime, la tragedia, piuttosto che andare al mare o vedersi in televisione un'altra partita, potrebbero costituire un autentico omaggio.
Forse è vero un po' tutto, perché è sicuramente vero che il rispetto ognuno lo coltiva e lo nutre a suo modo, purché lo senta veramente, ma uno Stato, tanto più una Lega di pallone ha il dovere di imporre - come dire - un indirizzo editoriale, deve lavorare con la simbologia e ieri e oggi forse sarebbe stato meglio non giocare fosse anche solo per evitare di sentirsi dire che conta più CR7 che quello che è successo, perché pare solo un altro slogan, quindi irrispettoso, e perché c'è il rischio che sia vero. Lo spettacolo stavolta non doveva continuare perché nemmeno era iniziato. Questo, è solo questo. Solo troppo brutto quello che è successo. Solo davvero troppo dolore e un po' più di tempo da prendersi. Il lutto stavolta sarebbe stato veramente profondo, opportuno, reale e condiviso. Lo dimostra anche che i primi a dire noi non ci saremo, noi anche se si giocherà non ci saremo, sono stati i tifosi, gli ultrà del Genoa che in un comunicato avevano annunciato la loro assenza per la trasferta di Milano. Stavolta no. Semplicemente questo. Poi ognuno ha ragione purché segua veramente la propria coscienza, e non la voglia di far vincere una posizione. Tantomeno questa.
Tutto questo per dire che per parlare di moduli e schemi, di assenze, di infortuni, di nuovi acquisti, di Pastore che non ha mai giocato col Torino, di Totti che ha segnato l'ultimo gol al Torino, di De Rossi che ha segnato il primo gol al Torino, di Roma-Torino che è stata l'ultima del 1983 e che oggi sarà la nostra prima, di Florenzi che ha segnato il suo primo gol sotto la Sud al Torino, di Strootman che rientrò col Torino, di Alisson che non c'è più, di Malcom, Nzonzi, mari e Monchi c'è tempo, ci sarà tempo, ma visto che la Roma è soprattutto un'emozione, essenzialmente un'emozione, non si può non fare i conti con i sentimenti soprattutto nel momento in cui si riapre il cuore a tutto questo. Tutto qui.
Poi alla Roma quest'anno chiederò solo una cosa, che è sempre la stesa cosa: visto che parliamo di gente, di persone, di sentimenti, oggi guardate il settore pieno dei 1.500 a Torino. Figurateveli, immaginateli, mettetevi sempre nei loro panni, ascoltate i loro cori, se vi capita anche fugacemente guardate "tutte quelle facce stravolte" tra una rimessa laterale o un angolo tirato là sotto e giocate di conseguenza. È per loro che la Roma è un'emozione. È per loro che sempre si gioca. O che non si sarebbe dovuto giocare. Forza Roma.
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