30 maggio 1984: la notte della nostra storia
55'' dopo l’ultimo rigore un canto: Roma Roma Roma. A chi cantavamo in quel momento? Per chi cantavamo? Per noi stessi? Per Dio?
Alla fine Kennedy – che gli inglesi chiamavano Barney – segna il rigore del 3-5. Ma questa versione di Barney non mi piace. Fine di che? Fine di cosa? Di un sogno? Non è forse l'inizio? Roma-Liverpool è la ferita più grande che c'è, che non si rimarginerà mai perché fiotta storia, spurga orgoglio, è aperta e va dritta al cuore. Fa male come fa male l'amore e nel ricordo è tremenda come la bellezza.
Pulita, candida, pura come quella maglietta. Nessuno si deve azzardare a sporcarla. Ogni tifoso della Roma non deve permettere a nessuno di prendersi questa partita, di sbeffeggiarla. È il nostro vanto. Quantomeno lo deve al nostro Capitano. Questa partita è e sarà per sempre nostra, quella notte è ancora nostra, quel Capitano lo sarà per sempre.
Sapete l'amore che può nascere da un dolore? Sapete l'attaccamento che può nascere da una perdita? È la vita che lo insegna e il Trenta Maggio è un giorno della nostra vita. Non l'abbiamo persa quella partita, contro l'avversario più grande, fino all'ultimo rigore possibile, è finita 1-1, dopo 90' e poi dopo 120'. Senza Ancelotti, Cerezo, Pruzzo, Maldera abbiamo perso la Coppa ai rigori. Roma-Liverpool 3-5 non è un risultato, ma una data: 3-5. Trentacinque. Trenta Cinque. 30 maggio. Tenetelo nel cuore, c'è un Uomo che lo ha fatto e si è tenuto un'immagne della Curva di quella notte con un volo di colombe fino alla fine.
Quella partita è il nostro orgoglio. Una cosa immensa, eppure c'è qualcosa di più grande. Abbiamo fatto una cosa infinitamente più grande. Perché quella notte non è finita nemmeno dopo l'ultimo calcio di rigore, perché il cuore ha scelto un altro finale. Sapete l'amore che può nascere da un dolore? Sapete la grandezza, la commovente grandezza di quello che è successo dopo? Un coro: «Roma! Roma! Roma!».
Cinquantacinque secondi dopo il rigore di Kennedy, noi abbiamo scelto un'altra versione. Cinquantacinque secondi dopo, una specie d'inconscio che ha aspettato il tempo fra un rigore e l'altro prima di fare quel coro. «Roma! Roma! Roma!». Cinquantacinque secondi dopo era come se la Curva Sud tirasse il suo rigore. Era il suo turno.
A chi cantavamo in quel momento? Per chi cantavamo? Per noi stessi? Per Dio? Per quello che era successo? Per quello che non era successo? Per tutti i nostri ricordi? Per quelle notti? Per un giocatore? Per il capitano? Io non lo so, ma cantavamo. Cantavamo «Roma! Roma! Roma!». Cantavamo per tutto quello che è e rappresenta per noi la Roma, cantavamo semplicemente per la Roma.
Roma mia. T'ho portata via per anni da quella notte prima di capire meglio che in quella notte tu sei rinata grande. Perché è proprio quella partita che ce lo ha insegnato: la Roma è più grande non solo della sconfitta, non solo della sconfitta più tremenda, ma della vittoria. Perché non c'è vittoria che t'appare più grande di quella sognata, attesa, pregata, sfiorata, toccata per 55 secondi. Il TrentaMaggio ci ha insegnato che gli uomini contano più di un risultato. Soprattutto uno.
Ho i brividi quando mi accorgo che a segnare il primo gol della Roma dopo Roma-Liverpool fu Agostino Di Bartolomei. Proprio contro il Milan, proprio contro il futuro che non sarebbe dovuto accadere. Proprio su rigore. Un gol dell'1-1. Dopo il Liverpool. Lui Agostino. Che aveva segnato l'ultimo gol prima di Roma-Liverpool su rigore contro il Verona. Prima del Liverpool.
Ho i brividi se penso che il primo gol con la Roma Ago lo segnò una volta contro il Bologna e scopro che contro il Bologna, il 22 maggio 1977, Di Bartolomei ha segnato all'Olimpico l'ultimo gol prima che il Liverpool vincesse contro il Borussia quella Coppa dei Campioni. Prima del Liverpool. Che dopo quella finale, quella finale dove nacque un canto ascoltato per un giocatore gallese, la Roma tornò a giocare la sua prima partita ufficiale il 24 agosto 1977 contro la Sampdoria a Genova vincendo 2-1 con due gol di Agostino Di Bartolomei. Dopo il Liverpool.
E pure il cielo un giorno avrà scoperto che la Roma è tornata a giocare in campionato all'Olimpico dopo la finale del Liverpool a Roma contro il Borussia, l'11 settembre 1977: 2-1, il primo gol della Roma è di Agostino Di Bartolomei. Su rigore. È il primo rigore della sua vita. Dopo il Liverpool. Prima e dopo il Liverpool all'Olimpico, Agostino Di Bartolomei. C'è sempre stato. Prima e dopo il Liverpool Agostino Di Bartolomei. C'è sempre stato. C'è.
Quando il 26 giugno 1984 giocherà la sua ultima partita con la Roma e alzerà con un mano e un ghigno la Coppa Italia, così come con una mano a un certo punto Souness aveva afferrato la Coppa dei Campioni, la Curva Sud scriverà. «Ti hanno tolto la Roma, non la tua curva». Perché contano gli uomini più dei risultati. Perché contano i sentimenti più di qualsiasi altra cosa.
Quella notte Ludovica del Commando Ultrà Curva Sud consegna una lettera a nome di tutto il gruppo ad Agostino Di Bartolomei: «Quanto ti abbiamo ammirato caro Ago, quanto abbiamo capito il tuo modo di essere... È da te che abbiamo imparato...Quel braccio alzato e quella testa china... Qualcuno potrebbe dire, ma i giocatori vanno la Roma resta. D'accordo. Giusto. Ma tu non sei come gli altri per noi. Caro Ago, segna per noi oggi... vogliamo vederti sorridere sotto di noi, insieme a noi, rideremo e piangeremo tutti perché avremo avuto un grande uomo che ci ha voluto bene. Ciao Capitano».
Voglio vederlo sorridere. Io ho voluto bene ad Agostino per tutto quello che ho scritto e per tutto quello che non riesco a scrivere. Per tutto quello che gli ha scritto quella notte Ludovica e che io mai, mai avrei potuto scrivere meglio. Per me era il fratello maggiore che non ho mai avuto e mi dava sicurezza. La tranquillità che cerchi nella vita quando subisci un calcio d'angolo, io la ritrovo quando penso ad Ago. Se c'era lui in campo io avevo meno paura. Se c'era lui le cose si facevano sicuramente per bene.
Io ho giocato una finale di Coppa dei Campioni avendo per Capitano Ago. E lui ha segnato il gol che ci ha portato in vantaggio per la prima e ultima volta quella notte. Lui ci ha fatto campioni d'Europa per 55 secondi e campioni nella vita col suo modo di dare serietà e amore. Io dirò sempre grazie a lui e a quella Roma. A lui e a quella curva. Io sarò sempre orgoglioso di Roma-Liverpool. È un vanto. È un racconto infinito. Pulito. Profondo. Pulito.
Adesso che sono diventato padre Agostino Di Bartolomei è ancora più un esempio. Non giudicherò mai il suo gesto, mi fa male ma ci sono persone che ne hanno sofferto infinitamente di più. Io gli vorrò sempre bene, tanto bene. È l'unica cosa che possa fare. Io col TrentaMaggio non "me ce gratto", io guardo al cielo dove sono stato per 55 secondi con il Capitano mio e guardo e sento tutto quello che è successo dopo. (...)
Per questo quando l'alzeremo dovremo ringraziare una volta di più quella Roma (...) E io quel giorno vorrò allo stadio gli «olè» per Tancredi, Nappi, Righetti, Bonetti (sì anche Bonetti) Falcão, Nela, Conti, Cerezo, Pruzzo, Di Bartolomei, Graziani... uno un po' più grande per Maldera ma non perché adesso sta in cielo, solo perché quella sera non c'era. Poi la portiamo ad Ago la Coppa. E la dedichiamo a lui e a chi è rimasto senza parole. A noi adesso che stiamo aspettando quel giorno lungo 55 secondi.
Io penso che ci sia stato un tempo fatto di grandi persone, di grandi sentimenti e di grandi sospiri che si meritavano partite del genere. E sogni così grandi. E cuori così folli. E notti di dolore rischiarate dalla maglietta della Roma. Io penso a Geppo che era un poeta. Penso a tutti quelli che non ci sono più e a tutti quelli che non sono stati visti e avevano una grande passione e meritavano di raccontarla. A tutti quelli che dentro al cuore hanno un'emozione troppo grande che preferiscono non raccontarla, a chi pensa che non è degno di farlo, a chi crede d'essere matto solo perché ha più immaginazione e più coraggio nel pensiero.
A chi è stato sfortunato o soltanto triturato da interessi, da opportunisti, da crumiri e traditori. A chi viene infamato. A chi ancora malgrado tutto non ce la fa a smettere di credere. A chi vuole rigiocare quella partita. A chi tifa la Roma. A chi ha perso, e per questo un giorno vincerà veramente. Penso a chi aveva gli occhi belli come i tifosi della Roma di Agostino e come Agostino. Penso a tanti che non ci sono più, ma penso anche a chi c'è, a tanti ragazzi che hanno la luce dentro per questa squadra di calcio e che hanno rispetto per chi l'ha amata, semplicemente amata. Nella vita non puoi più che amare.
(Tratto da "55 secondi")
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