La partita del Trinche
7 giugno 1979: quando quattro ex romanisti, Bet, Morini, Antonelli e Capello, sfidarono in Sudamerica Carlovich, nell'ultima partita di sempre di Gianni Rivera
Nils Liedholm aveva fatto sapere che non avrebbe partecipato alla tournée in Sudamerica del Milan appena diventato campione d'Italia. Il Barone aveva vinto lo Scudetto della Stella e aveva deciso di onorare una vecchia promessa andando ad allenare la Roma: avrebbe vinto uno Scudetto più bello di quello della Stella, atteso 41 anni. Quarantuno anni sono una vita. Il Milan partì guidato dall'allenatore in seconda Alvaro Gasparini, 41 anni amato da tutto il gruppo e da Gianni Rivera in particolare; giocò tra il 20 e il 30 maggio contro il Boca, il River, il Talleres Cordoba, l'Uruguay e l'Olimpia dopo aver annullato per black-out una partita con l'Estudiantes che sapeva quasi di epica rivincita per la Coppa Intercontinentale del 1969 di botte e di calcioni. Buio. Non si giocò. Buia pure quella tournée, nessuna vittoria e Rivera espulso due volte: in carriera non gli era mai successo. Manca da giocare una partita in programma il 7 giugno 1979. Oggi, 41 anni fa.
La squadra da affrontare è quella delle Andes Talleres, a Mendoza, città del sole circondata dai vigneti e a i piedi della Cordigliera delle Ande, la più lunga catena montuosa del mondo. C'è di tutto: laghi, vulcani, deserto, ghiacciai, foreste. Anche in questa storia. Le Andes sono seconde in classifica nel campionato mendozino, una buona squadra locale e nulla più, che per questo viene integrata per l'occasione con diversi elementi nazionali. L'occasione era la sfida nella terra dei neo campioni del mondo (1978) alla squadra campione d'Italia (1979) guidata da Gianni Rivera. Il talento italiano, il Pallone d'Oro del 1969, che aveva vinto un campionato giocando solo 13 partite. Per la stampa locale un evento. Per quella italiana no, forse solo non sapeva quello che avrebbe significato. Tra i rinforzi della squadra di Mendoza ce n'è uno in particolare, ha un cognome slavo, croato, la pancia, un dribbling con cui camminava anche nella vita, i capelli lunghi per raccontare e nascondere storie vere e la mania del tunnel, tipico ci chi ama uscire alla luce da certe situazioni ingarbugliate: si chiama Tomas Felipe Carlovich.
Per gli argentini era già un mezzo mito, famoso non per il tunnel, ma per il doppio tunnel: lo faceva "avanti e indietro" all'avversario, più che deflorazione, la quintessenza dell'onanismo, del dono e del gratuito fatto sistema, contro la capitalistica e noiosa e stupida "realizzazione" di gol nella vita. Carlovich si realizzava così: giocando. Perfetto. Speranza per i bambini. Un affaccio sulla possibilità di essere liberi. I tifosi andavano a vederlo soprattutto per questo, c'è chi dice esclusivamente per questo, di sicuro la sua squadra della vita, il Central Cordoba (due promozioni dalla serie C: il massimo del bottino borghese della sua carriera) prevedeva dei bonus legati al numero dei doppi tunnel. Ora Carlovich lo è diventato un po' (tanto) famoso da quando l'8 maggio 2020 è morto per colpa di ladri di biciclette che lo hanno fatto cadere spedendolo in coma e poi chissà dove adesso. Più che neorealismo, infamità e basta. Si è scritto di lui, si è fatta giusta e alta letteratura, soprattutto ricordando l'amichevole organizzata dall'Argentina contro una rappresentativa di calciatori nati a Rosario per i Mondiali del 1974: dopo il primo tempo contro Carlovich, rosarino, la nazionale albiceleste perdeva 3-0! Lo fecero uscire dal campo per limitare l'imbarazzo e consegnarlo direttamente nello spogliatoio della leggenda.
Si dice che lui se ne fosse andato a pescare, non sembra vero, forse sì. Chissenefrega: il mito era tratto. Sicuramente il 7 giugno 1979, Tomàs Felipe Carlovich era in campo contro il Milan di Gianni Rivera, non più di Liedholm, ma già non più di Alvaro Gasparini. Il vice del Barone era morto due giorni prima. Infarto il 5 giugno a Buenos Aires. La sua ultima partita da allenatore il 30 maggio contro l'Olimpia. Il 30 maggio, la notte delle eclissi. Rivera gli stette vicino all'ospedale fino all'ultimo possibile insieme al dottor Monti. Tutto il Milan venne sconvolto ovviamente, Rivera di più. Gasparini aveva appena 41 anni e tre figlie, Rivera e il Milan cercarono di rientrare in Italia subito, ma non c'erano voli diretti da Baires. Si doveva giocare.
La squadra così scese in campo il 7 giugno di 41 anni fa con Rivera nelle vesti di allenatore e giocatore. Un altro unicum. Estadio Malvinas Argentinas, con tremila spettatori soltanto, tutti italiani, perché questa partita era un omaggio ai nostri emigranti. Nessuno aveva voglia di giocarla. Carlovich stava in panchina, aveva già dimostrato al mondo di saper battere da solo i futuri campioni del mondo. Il Milan era passato in svantaggio con Turatti, poi aveva rigirato la gara con De Vecchi e un rigore di Chiodi prima di perdere 3-2 per un altro gol di Turatti e di Funes. Carlovich avviò l'azione e poi fece un assist per le reti del pari e della vittoria. In quel tabellino ci sono anche Giorgio Morini, Aldo Bet, Roberto Antonelli e Fabio Capello. Cioè un po' di Roma.
Di Capello si sa tutto, di Bet e Bet-Santarini si deve sapere per forza qualcosa se sei della Roma e di Morini anche. Antonelli, detto Dustin Hoffman, forse nei numeri è stato veramente una meteora nella nostra storia ma per chi la lupa ce l'ha dentro no: ha segnato soltanto un gol in 5 gare giocate: alla lazio, il 24 marzo 1985. Primavera appena iniziata, con la Sud che aveva fatto il mare per la coreografia. La Roma è sempre una poesia. Morini, Bet, Capello e Antonelli, questa è anche la storia di quando quattro ex romanisti hanno giocato contro Carlovich, questa è la storia dell'ultima partita di Gianni Rivera, perché il giorno dopo il Milan rientrò in Italia e pochi giorni dopo Rivera annunciò il suo addio. Probabilmente avrebbe preso la stessa decisione, ma quella tournée con la morte del suo amico allenatore lo segnò dentro e per sempre. La decisione fu per forza conseguente.
Quando gli artisti fanno simili gesti, anche inconsapevolmente, tracciano solchi: la sua ultima partita è quella in cui Carlovich battè i campioni d'Italia senza il loro allenatore. Uno in cielo, l'altro - Liedholm - a Roma dove avrebbe vinto lo Scudetto non della stella ma di tutto il cielo, dopo 41 anni di attesa. Forse questa storia è quella di Carlovich che batte i campioni d'Italia, o quella dell'ultima partita di Rivera, o è l'una e l'altra cosa: quando Carlovich battè Rivera nel giorno del suo addio. Quella di quattro ex giocatori della Roma che hanno giocato contro quello che Maradona ha definito il più grande di sempre, poco prima che la Roma diventasse la più grande di sempre grazie a Liedholm che mantenendo una sua promessa ci allenerà e ci farà campioni dopo 41 anni. Perché quella è l'età di un giovanissimo allenatore sconosciuto al mondo, Alvaro Gasparini che ha guidato una squadra campione per poche partite non appena vinto lo Scudetto della Stella dove sono finiti i suoi di 41 anni. Proprio quanto è passato fino a oggi. Il 7 giugno 1979. Forse questa è solo la storia sua.
© RIPRODUZIONE RISERVATA