Dimmi cos'è
È più importante rialzarsi che non cadere mai. È più importante vivere che vincere. Non c’è rivincita solo se ti rinchiudi nella torre d’avorio di una presunta nobiltà, mentre là di fuori, c'è il popolo. C'è Roma
Ti voglio bene. Bisogna usare il tu, contravvenire a ogni minima e doverosa regola giornalistica, perché tu lo hai fatto con ogni tifoso romanista e lo hai fatto davanti a tutti. E non è facile farlo, dare del tu a quarantamila persone allo stadio e a qualche milione che ti guardava in televisione. Non è facile farlo, piangere davanti a tutti, non è facile se piangi quel tipo di lacrime, non è facile guadagnarsele quelle lacrime lì, per questo ti voglio bene. Perché ti sei messo il cuore a nudo ed è da romanisti. Perché è da grandi non aver paura dei sentimenti, e se sono i tuoi, i nostri, è da grandissimi.
Ti voglio bene, e in fondo non è scriverti in prima persona perché quello che ho sentito ieri l'ha sentito ogni tifoso della Roma. E lo risente appena rivede non solo quella corsa folle, rossa, sanguigna, sospesa, sfrontata verso la Curva, verso le praterie, verso il tutto e il nulla, quella ricerca della felicità che è dentro un urlo, quel Guernica umano in movimento, quella rivoluzione riuscita sotto la Sud, ma quando torni da solo a centrocampo e si rivede la tua faccia per un momento. L'hai alzata, Federico. L'hai alzata mentre piangevi. Hai alzato la faccia ed è da uomini più che alzare qualsiasi altra cosa in faccia.
Ti voglio bene perché ieri sei stato tutti i tifosi della Roma, perché tutti i tifosi della Roma in questi mesi sono stati te: Federico Balzaretti. Hanno sofferto, si sono incazzati, hanno urlato, qualcuno ha esagerato, qualcuno è rimasto in silenzio, qualcuno ancora s'è solo di più gonfiato il petto, ma non lo hanno mai nascosto il sentimento come non lo hai nascosto tu. Stavano lì. Stavi lì. Stavano in Curva e tu sotto la Curva, il tempo di bestemmiare l'ennesimo palo della vita prima di rigiocare: sei entrato in campo dalla Sud prima di segnare e a lei hai restituito le lacrime versate il 26 maggio.
Ti voglio bene e si può usare la prima persona perché altre non ce n'erano: ieri allo stadio c'era solo un Noi, c'erano solo i tifosi della Roma. Non è tanto per dire: la Nord vuota (i Distinti e la Tevere poi ci sono rimasti per mancanza di effettivi, non per scelta) come a voler rinfacciare chissà che cosa. Come a voler cristallizzare per sempre il loro momento di gloria, il quarto d'ora di celebrità che avranno tutti secondo Andy Warhol. Hanno messo le mani avanti, mentre i tifosi della Roma alzavano la loro scenografia, hanno scelto di restare fuori, mentre i tifosi della Roma mettevano tutto dentro. La scelta di chi ha paura di macchiarsi, di sporcarsi, di chi s'illude di essere e rimanere immacolato, di chi ha paura di perdere quel poco che aveva perché gli sembrava tutto. La scelta di chi rifiuta il confronto, di chi rifiuta cioè la realtà, perché la vita non è mettersi in posa: la vita è vita. La vita è anche perdere, cadere, sbagliare. Ed è ancora più grande la vita perché ti fa risorgere, sorridere, amare. Ti fa cantare, colorare la tua curva, alzare i tuoi cori, scrivere le poesie (un esercito di Shakespeare: "Il mio nome è il simbolo della tua eterna sconfitta") e ti fa piangere di gioia.
È più importante rialzarsi che non cadere mai. È più importante piangere che vincere. Ti voglio bene perché li hai fatti esulta' con la Roma in vantaggio, li hai fatti sforza' perché ormai l'avevano detto, s'erano dati appuntamento, riproponendo rovesciato quel destino di chi tifa contro la propria squadra per veder piangere gli altri, senza sapere che si può piangere anche per amore.
È più importante rialzarsi che non cadere mai. È più importante vivere che vincere. Non c'è rivincita solo se ti rinchiudi nella torre d'avorio di una presunta e impossibile nobiltà, mentre là di fuori, e tutto attorno, c'è il popolo. C'è la vita. C'è Roma. In quelle lacrime e preghiere della nostra storia, in quel "che ci fa piangere e abbracciarci ancora" che ci farà abbracciare ancora senza mai sapere il perché. Ti voglio bene perché anche tu adesso non lo sai dire.
(Da "Il Romanista" del 23 settembre 2013)
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