Bella e fragile, ma con l'anima
Davanti si vola, dietro ci sono le vertigini. C'è da lavorare, ma siamo qualcosa. E Pellegrini...
Bellissima per un'ora, troppo fragile dietro. Forse è fragile perché è così bella davanti, starà al tempo, al lavoro e a Fonseca rispondere, però questa Roma un'anima ce l'ha. È tutta qua (almeno finora eh) la differenza con la (non) Roma dell'anno scorso, ancor prima di un gioco che finalmente si vede e non è più un'ipotesi di scuola e basta: si attacca in sei, in otto, si fraseggia, si verticalizza, si vola. Poi dietro però è tutta una vertigine.
Anche se credo dipenda più dal fatto di essere romanista che dal gioco di Fonseca l'impossibilità di stare tranquilli anche sul 4-0, il quasi terrore dopo il 4-2: agli highlights è tutto meno drammatico, meno occasioni concesse di quelle che ricordi (vale anche per il Genoa), anche se l'impressione di essere vulnerabili è qualcosa più di reale che di percepito come i 6 gol presi in tre partite. Però ne hai fatti 8. E però soprattutto, lotti. E vale soprattutto per quello splendido Albatros di Edin Dzeko che ha ripreso a correre prima ancora che a volare. Quello, si sa, lo ha sempre saputo fare.
Insomma siamo qualcosa ma c'è da lavorare. E va bene così. Le note sparse non sono a margine perché Lorenzo Pellegrini non può essere un'appendice, ma tutto il tomo. Pellegrini è un giocatore diverso dagli altri, fra l'altro questa diversità vale ancora di più, cioè è ancora più rara, perché l'ha lavorata, l'ha costruita, dopo un inizio per niente facile qui a Roma. Pellegrini vede il calcio, lo gioca veramente. Col corpo, la postura, accelerando e soprattutto guardando là dove deve andare il pallone, dialoga con l'assenza, pesa e fa scacco allo spazio. E se poi al velluto, alla Francia, ai ricami, all'allungo ci aggiungi la tigna e la faccia mostrata a Correa in quello che chiamano derby, uno rischia di tatuarselo Lorenzo Pellegrini. Un bel marchio, d'altronde: romano e romanista.
Poi ci sta ancora parecchio, la mossa a sorpresa di Fonseca, cioè Kluivert che è stata la mossa azzeccata, c'è ovviamente il mio amico e quello di tutti noi, Henrikh Mkhitaryan: esordio, impressione, gol e faccia giustissima per la nostra e sua Felicità, con tanto di canzoncina. C'è la poesia proletaria di Cristante e c'è pure Veretout che è spartiacque e fiume, è l'interfaccia, ricorda in qualcosa più di qualcuno, ma meglio stasse zitti e pedalare. Come fa lui. Jordan on air ma piedi d'aratro, diga e sbocco, vocina gentile tratti da marines. Daje Veretout daje. Daje Roma sempre.
Il resto sono notarelle di una giornata di campionato che ha visto le milanesi vincere con 1-0 striminzito contro un avversario che ha giocato per trequarti in dieci. Ma non pensiamo agli altri con la solita eccezione: gli altri altri. In domeniche del genere è bello pensarci, eccome. Oggi quindi va bene così. Anche ieri. C'è da lavorare sì (c'è la Coppa Uefa giovedì che dev'essere il primissimo straobiettivo stagionale) ma oggi va bene anche così. A domeniche diamante come quelle di ieri mancano solo le pastarelle.
© RIPRODUZIONE RISERVATA