Il mare di San Siro
Sono gli oltre 10.000 romanisti dietro la porta della Sud del Meazza dove De Rossi realizza il rigore che vale la seconda Supercoppa della nostra storia. E poi “ringrazia” Totti

(Almanacco Giallorosso)
Dopo la Coppa, c’è la Supercoppa. Dal 17 maggio al 19 agosto 2007, in verità, non passa un giorno: i tifosi della Roma sono sempre lì, una marea. Diecimila almeno, anche se i tabellini non concordano sulle presenze nel settore ospiti: cinquemila è il minimo garantito, quindicimila per chi esagera. A me ancora oggi sembrano l’infinito. È il 33’ del secondo tempo, la Roma ha dominato la partita e adesso ha la possibilità di vincerla. Giuly tre volte s’è divorato il vantaggio, Vucinic una volta ha fatto altrettanto, ma adesso, in questo minuto, tutto ciò può non venir rimpianto. C’è un calcio di rigore per la Roma. Perché, se la «Roma è in vantaggio» è la più bella frase d’amore del mondo, «calcio di rigore per la Roma» vale il primo appuntamento, è la definizione stessa del preliminare.
Il fallo lo ha commesso Burdisso al 32’ e spicci su Totti, un Totti che aveva fatto una partita nei suoi standard: gigantesca. È il 33’ del secondo tempo. Rigore. Va Totti. No. Non ci va. Per la prima volta da quando l’uomo ha inventato il cavallo, Totti non tira un rigore stando in campo: nessuno sciopero generale, nessun biennio rosso, nessun ammutinamento da Bounty: Totti non sta bene. Allora va De Rossi. È il 33’ del secondo tempo. In palio c’è la Supercoppa, un altro trofeo per la Roma tre mesi soltanto dopo la Coppa Italia, e sempre contro l’Inter stra-campione, e sempre a San Siro stadio Meazza, dopo averci vinto pure ad aprile in campionato, alla Scala che sta diventando solo un gradino per salirci sopra.
È il 33’ del secondo tempo, Mancini sta a sede, i romanisti pregano, Totti guarda, De Rossi aspetta una ventina di secondi dal momento in cui va dal dischetto al momento dell’impatto. Il big bang. Eccola la rincorsa, è il 32’ e 48”. Altro che Berlino! Altro che rigore contro Barthez da «buttace i guanti» (la frase che disse al portiere francese dopo aver realizzato un rigore valido solo per la Coppa del Mondo). Altro che Berlino!
Vuoi mettere una Supercoppa di Lega con la Roma con un Mondiale?! Non c’è tifoso della Roma che non farebbe il cambio. De Rossi, che è un tifoso della Roma, va verso i suoi tifosi perché il rigore si tira sotto la Sud. È un rigore allo specchio. Va, con Totti in campo e tutti che lo guardano. Va. Tira alla destra di Julio Cesar che si stende alla sua destra, forse sfiora la palla, che pare troppo angolata, che forse verrà deviata, forse andrà sul palo, forse…
Sognare. Gol. Gol. Nello scomporsi forsennato entusiasta di ventimila braccia che si dimenano contro le leghe lombarde sotto i mari, frana la Curva frana. È una Guernica della felicità la curva della Roma a San Siro. Il primo ad abbracciarlo è Aquilani, poi arriva Totti. Francesco e Daniele si abbracciano come fanno i tifosi dietro di loro, poi Daniele guarda Francesco per dirgli chiaro chiaro, netto, cosa ne pensa del più grande dono mai fatto da un compagno a un altro, cioè la concessione di un calcio di rigore valido per un trofeo contro i campioni d’Italia, a Milano, tre mesi soltanto dopo la Coppa Italia alzata sempre lì, mentre lo stadio cantava «Roma, Roma…».
Se lo abbraccia e gli dice indicando anche con la mano: «Mortacci tua». Tecnico. Letterale. Metaforico. Testuale. Inedulcorabile. De Core. Trilussa, Belli, la Magnani, Sordi non avrebbero saputo riassumere meglio in una battuta, in due parole due, contate, la romanità. Dirà De Rossi negli spogliatoi: «Non avevo mai tirato un rigore con la Roma, devo tornare a un Roma-Triestina di Coppa Italia di almeno cinque anni fa, lì non era molto importante per il resto del mondo ma per me era come un Mondiale. Quando sono andato sul dischetto ho provato le stesse sensazioni di quella notte a Berlino. Sembrava di stare a Roma per quanti tifosi c’erano. È stato un trionfo. Un trionfo».
Spalletti dirà: «Grande Daniele. Zero dubbi sul merito del successo, vittoria limpidissima grazie ai miei ragazzi che si sono dannati». E Totti dirà: «Abbiamo capito che possiamo battere tutti, siamo un grande gruppo che non ha paura di nessuno».
Era il 19 agosto, ma come il 2001, sogni di notte di mezza estate che fanno brutta figura di fronte a una realtà che in quel momento era persino più bella. Sogni e promesse tricolori che non verranno mantenute per poco, per qualche fischio, o per destino, ma che in questo momento in cui Totti sta alzando al cielo la seconda Supercoppa della nostra storia non importa a nessuno. L’ultima fotografia è la stessa di maggio, la coppa al cielo mentre risuona «Roma, Roma» a San Siro. Cose che restano al di là di tutto, che vanno a finire dritte dritte nel cuore della storia della Roma. Per forza e per amore.
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