Cogito Ergo Sud

La vittoria è il nome

Il derby di Balzaretti resterà sempre quello di una rivincita di cui non avremo mai bisogno, perché c’è chi non potrà mai chiamarsi Roma. Né averne simbolo e colori

(GETTY IMAGES)

PUBBLICATO DA Tonino Cagnucci
10 Aprile 2025 - 06:00

In Romeo e Giulietta (Atto II, Scena II) Shakespeare si chiedeva: «Che cos’è un nome?». In una storia d’amore persino più grande, la Curva Sud ha finalmente dato la risposta: «Il mio nome è il simbolo della tua eterna sconfitta», se quel nome è Roma
Il derby del 22 settembre 2013 è già in queste quattro lettere (un amore, un lungo brivido in fondo al cuore). È veramente tutto nell’ingresso in campo quando i tifosi della Roma hanno realizzato una delle più belle coreografie della loro storia, colpendo perfettamente il tallone d’Achille dei dirimpettai, che quel nome non solo non ce l’hanno, ma che non amano per niente. Anzi, peggio.

Il derby dopo la sconfitta nella finale di Coppa Italia del 26 maggio è veramente tutto nell’ingresso in campo, quando i tifosi della Roma hanno realizzato una delle più belle coreografie della storia della Curva Sud mentre i dirimpettai… non c’erano. Semplicemente, non c’erano. 
I laziali hanno scelto di entrare a ridosso della partita cristallizzando il loro quarto d’ora di celebrità, quello che Andy Wharol diceva che tutti avrebbero avuto. Anzi, in questo caso non si tratta nemmeno di un quarto d’ora ma di un minuto, quello del gol di Lulic. Hanno scelto di fare il memoriale del derby (questo è quello che loro avevano scritto), di snobbare la partita, di trincerarsi nella sicurezza e nella retorica di chi aveva ottenuto qualcosa ma che già era stata fatta a pezzi dalla poesia della Sud: «Il mio nome è il simbolo della tua eterna sconfitta». 

Hanno scelto di restare fuori, mentre i tifosi della Roma mettevano tutto là dentro. Perché la vita è anche perdere, cadere, sbagliare. Ed è ancora più grande la vita perché ti fa risorgere, sorridere, amare. Ti fa cantare, colorare la tua curva, alzare i tuoi cori. È più importante rialzarsi che non cadere mai. 
Tutto questo ha raccontato questo derby ancora prima d’aver inizio, poi il campo l’ha confermato. L’estate della “coppa in faccia”, del “non c’è rivincita” eccetera e mille eccetera, è sfumata nella faccia alzata da Federico Balzaretti, mentre commosso tornava a centrocampo dopo il gol del vantaggio al 62’. Proprio lui. 
Proprio Balzaretti che era stato il simbolo della nostra sconfitta dell’anno prima, il calciatore più criticato, più accusato, più bersagliato. Ecco perché quando ha segnato è esploso. 

Ecco perché quando ha segnato lui, hanno segnato tutti i tifosi della Roma, quando ha pianto lui, hanno pianto tutti i tifosi della Roma, perché noi eravamo lui. Perché in quell’estate ogni tifoso della Roma è stato come Balzaretti. Ma non ha nascosto il sentimento, ma non ha rinunciato, non si è tirato indietro, ha colorato lo stadio, l’ha riempito di passione e pallone e ha vinto. L’estate della coppa in faccia era passata, in quell’alzare la faccia a centrocampo Balzaretti l’ha fatta alzare a tutti i tifosi della Roma. È il derby di chi ce l’ha messa, la faccia. 
Questo derby va raccontato così, soprattutto con il gol di Balzaretti perché la sua esultanza, e quella di tutta la Roma immediatamente dopo, oltre ai mille significati, è semplicemente tra le più belle della nostra storia, è semplicemente bella, pulita, romanista. 

Racconta più delle mosse con cui Rudi Garcia ha messo in scacco la Lazio prima («Un derby non si gioca, si vince») e dopo la partita («Abbiamo rimesso la chiesa al centro del villaggio»). 
In campo ci ha mandato una squadra che aveva vinto le prime tre partite di campionato, che al derby della rivincita per definizione, ci era arrivata e ci è uscita da prima in classifica. È vero, non c’è rivincita, il 2-0 di Ljiajc al 94’ su rigore – preso, tirato e realizzato – ha sigillato nient’altro che questo. Che «il mio nome è il simbolo della tua eterna sconfitta». Che un nome in fondo è solo un nome («Che vuol dire “Montecchi? Non è una mano, né un piede, né un braccio, né un viso, nulla di ciò che forma un corpo. Prendi un altro nome. Che cos’è un nome? Quella che chiamiamo “rosa” anche con un altro nome avrebbe il suo profumo?»), se non ti chiami Roma.

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