La prefazione di Mastandrea al Romanzo della Roma di Cagnucci: Quella cosa
Caro Tonino, quando ho incontrato le tue parole mi hanno costretto a sentire e non solo a leggere. Quindi il libro non lo leggo ma lo metto lì nelle cose della vita che si apriranno da sole
Caro Tonino,
mi chiedi una prefazione al tuo libro che, strano eh, parla di Quella Cosa. Come di Quella Cosa parla la nostra vita, da vivi, da sopravvissuti e, perché no, pure da morti. Perché esistere con Quella Cosa significa proprio questo, vivere, sopravvivere, stirare le zampe e poi ricominciare, anche in ordine sparso eh, stirare le zampe, vivere, sopravvivere. Da queste poche righe avrai capito che io una prefazione non la so scrivere specie per un libro come il tuo che non ho intenzione di leggere, non ora e chissà quando. Perché le parole tue quando le ho incontrate, volente o meno, mi hanno sempre rotto i coglioni. Mi hanno costretto a sentire e non solo a leggere. A cercare di capire che mi stavano facendo e non solo a farmele scivolare addosso. A volte talmente non capivo per quanto “sentivo” che mi hanno fatto piangere. Quindi, sto libro, col cazzo che lo leggo. Non so di che parla, ma lo so, e so quello che mi farebbe e che mi farà. Quindi lo metto là, dove deve stare, in mezzo alle cose della vita mia. Che poi si sa, i libri più belli della vita sono quelli che non apri per vent’anni e poi, improvvisamente, si aprono da soli.
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