Roma, 6 nella storia: quella finale di Coppa Italia contro l'Inter
Un gol dopo 52”, un altro dopo 4’, l’ultimo all’ultimo minuto contro i campioni d’Italia. Al ritorno ci prendiamo il trofeo dopo 16 anni, con “Roma Roma” che risuona a San Siro
C’è poco più del commento del tabellino. Anzi, non è nemmeno un commento, non è quasi un tabellino un 6-2, è un urlo, una linea tirata sul passato, su quello più antico e quello meno remoto. Roma-Inter 6-2 è una risposta alla storia, innanzitutto a tutti quei risultati tennistici che agli albori del calcio in Italia le formazioni del girone settentrionale rifilavano al resto d’Italia. Roma-Inter 6-2 capovolge per sempre negli Albo d’Oro presunte supremazie naturali e di genere fra le due Capitali, e dice almeno che anche nel calcio ce n’è solo una. Contro questa differenza, contro il Potere, contro il Palazzo che stava costruendo i palazzi a Roma, proprio la Roma nacque all’alba del nostro calcio. Proprio l’Alba una delle società madri dell’Associazione Sportiva Roma perse una finale scudetto contro la Juve per 7-1. La Roma nata grande – che nel 1931 alla Juve gliene fece 5 – con questo 6-2 all’Inter dà una risposta originale a tutto ciò e ne dà un’altra a un altro 7-1, quello subìto all’Old Trafford il 10 aprile di quell’anno dal Manchester United nel ritorno di un quarto di finale di Champions, pure vinto all’andata. La grandezza di questo 6-2 all’Inter finale di Coppa Italia – e non s’erano mai visti così tanti gol nell’atto conclusivo della coppa nazionale – della Roma di Spalletti sta proprio nell’aver trasformato il fango, immeritato, in oro. In oro che vale e che luccica. La Roma, la bellissima Roma che fino a un certo punto della stagione s’era messa addirittura in testa il pensiero stupendo dello Scudetto sfidando l’Inter della Milano da bere di Moratti e Mancini, la Roma che era stata più che stupenda a Lione, la Roma che a San Siro con l’Inter aveva vinto 3-1 facendo restare sul gargarozzo cotillon e aperitivi sempre a quella Milano da bere, ha saputo prendere e prendersi questa finale e darsela come premio, l’ha trasformata in un inno alla gioia e all’amor proprio, prendendosi tante rivincite tutte insieme, non solo storiche.
Sei a due all’Inter di Mancini (che soddisfazione vederlo seduto dopo cinque minuti) che in tutte le precedenti partite giocate fin lì in Coppa Italia aveva preso 0 (zero) gol. Zero. Sei a due all’Inter campione d’Italia, dopo che le ultime due Coppe Italia le avevamo perse contro l’Inter campione d’Italia. Sei a due, e palla al centro di Milano. Perché c’è poco di più del commento del tabellino del 9 maggio 2007, ma c’è. Aspettiamo. Poco. Cinquantadue secondi il tempo record del primo gol della Roma, il gol di Totti (in quel momento il 28esimo in stagione), Scarpa d’Oro e piede di platino. Il tempo di esplodere e di rifarlo con l’altro simbolo di Roma, con l’altro romanista, con l’altro romano: angolo da sinistra tiro al volo di Mexes e colpo di qualche parte del corpo di De Rossi e 2-0. Sono passati 4’ e 48” contati. Altri dieci e la Roma diventa un laser. Chivu da sinistra in profondità rasoterra per il sempiterno inserimento di Perrotta, che in scivolata colpisce da biliardo il 3-0. Bingo. Flipper. Tilt. Ci va per un momento Pizarro, che serve a Crespo il retropassaggio dell’1-3: sembra un’ingiustizia verso la bellezza di questa Roma, talmente grossa che Mancini fa il 4-1 dieci minuti dopo. Fine primo tempo. Inizia il secondo. Cinque a uno come alla Lazio per un colpo di testa di Christian Panucci sotto la Sud, poi Crespo ci riprova e ci riesce, ma pure Panucci, soltanto che è l’ultimo minuto ed è 6-2. Grazie Roma e tutti a San Siro. Sì, perché c’è poco più del commento del tabellino, ma c’è. La gente romanista che ha invaso Milano, ha addirittura sofferto (qualcosa fra storia ancora da cambiare e DNA) sul 2-0 per l’Inter, ma ha goduto al gol di Perrotta e poi ha pianto.
Non tanto quando la Coppa è tornata dopo 16 anni a Roma, nemmeno quando sotto le scalette dell’aereo ha visto il suo presidente Sensi farlo, ma quando a San Siro di Milano, stadio Meazza, a un certo punto è risuonato l’inno. Coi coriandoli che servivano agli altri e alla televisione, coi coriandoli che non riuscivano a togliere nulla alla commozione. Quel giorno, il 17 maggio, fuori da qualsiasi tabellino e persino dall’Albo d’Oro, in quel momento a Milano si sentiva solo un coro. Queste le parole. Come a Lione. Come a Roma. Come sarà sempre:
Roma Roma Roma core de ‘sta città /unico grande amore de tanta e tanta gente che fai sospira’/ Roma Roma Roma lassace canta’ da ‘sta voce nasce n’coro so’ centomila voci che hai fatto ‘nnamorà/ Roma Roma bella t’ho dipinta io gialla come er sole, rossa come er core mio / Roma Roma mia nun te fa incanta’ tu sei nata grande e grande hai da resta’ / Roma Roma Roma core de ‘sta città unico grande amore de tanta e tanta gente m’hai fatto innamorà.
Ma tanto eh.
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