Appena due parole
Zero fronzoli, zero maniere, zero orpelli. Ermetismo punk, solo lavoro e marcatura a uomo anche con le parole. Giusto due ne servono: forza Ivan. Forza Roma
Una definizione corretta per Ivan Juric potrebbe essere “minimal”, se non che una definizione simile credo faccia schifo a Ivan Juric stesso. Non è un linguaggio suo. Lui è conciso, concentrato, concreto, asciutto, diretto, essenziale e tutta una serie di aggettivi e sinonimi che già sono troppi e inutili per lui.
“Sì e no”, un paio di parole, sono sufficienti. Ieri ci ha quasi condotto tutta la conferenza così. Forse anche un “forse”, ogni tanto, anche se troppo ambiguo per la sua spietata sincerità, terzo centrale di un discorso che prevede una strettissima marcatura a uomo anche con le parole. Ho amato Mourinho come nessuno (eh sì lo so che ci sarà chi reclama) amo De Rossi alla maniera in cui lui ama la Roma (“nessun mai t’amerà più di me”) ho tutta la voglia del mondo di diventare il primo tifoso di Ivan Juric. L’amore? Sì, certo, ma sarebbe per lui una parola grossa. Tutta questa sua spietata semplicità e chiarezza, questo risparmio di fiato per metterlo in campo mi predispone a una simpatia naturale.
All’immagine, invero un po’ forte, con cui in una domanda è stato assimilato a “un medico di guerra” vista la situazione, lui ha risposto: «Io penso solo a vincere domani». Che nella sua spiazzante semplicità ti fa venire voglia di sostituirlo come titolo al film della Cortellesi: “Vincere domani”. Poi il capolavoro: “Sei emozionato?”. «No» (che è quasi una semi-citazione). Inebriante. Una poetica del quotidiano e della sostanza, un elogio al pane e alla fatica (boni) che diventa una corrente letteraria lontana discendente dell’ermetismo prossima al linguaggio morse. Zero fronzoli, zero maniere, zero orpelli: solo marcatura a uomo, lavoro e ricerca della vittoria.
Ivan Juric è l’elogio della sostanza, l’apologia della notizia d’agenzia, quella da scrivere in prima riga con soggetto, verbo e complemento. Punto. Stop.
Stiamo al telegrafo. Una forma punk di comunicazione. Lui che ama il punk (e qui l’amore scatta e basta) e il death metal, che a Verona coltivava un orto, andava alla mensa dei poveri (“ho più ricevuto che dato”) aveva i vasi di fragole sul balcone, e che non rinuncerà mai all’amore per la sua terra, alla birra coi suoi tifosi e alle cene con la sua squadra. Ora guida la Roma.
Per i suoi gusti è già stato detto troppo di lui, sicuramente troppe parole.
In fondo ne sarebbero bastate un paio, facciamo ancora in tempo, perché sono le uniche credo che ascolterà con piacere e che personalmente volevo dire: forza Ivan. Forza Roma.
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