Perché a vent'anni è tutto ancora intero...
Il Romanista è stato un modo per mettersi in tasca l'infanzia e crescere senza perderla. Un modo per donare un'altra carriera alla Roma
Il Romanista è stato un modo per mettersi in tasca l’infanzia e crescere senza perderla. Per me è stato il modo di donare un’altra carriera alla Roma: quella dei vent’anni da Romanista oltre che i 52 da romanista.
È stato il giornale che uno che tifa Roma e che ama scrivere sogna, poi quando è diventato realtà è stato un vanto, perché da quel momento è stato l’unico quotidiano al mondo dedicato a una squadra di calcio. È ancora questo, oltre che un nome troppo grande, persino presuntuoso, che non si deve smettere mai di meritare. Adesso che è diventato soprattutto radio, e le voci che lo raccontano hanno i 20 anni del giornale, Il Romanista è diventata una generazione.
Ma se vent’anni è un’età simbolo, se vent’anni sono l’età della giovinezza, dell’ingresso nella vita dei grandi, Il Romanista adesso ha l’età che avevamo noi quando abbiamo iniziato a fare i giornalisti. I miei auguri allora sono un augurio: che questo sia un nuovo inizio, visto che stavolta un editore serio sembra proprio esserci e che siamo riusciti ad andare anche oltre il quotidiano. Che Il Romanista (scritto, detto, parlato, in fm o cartaceo) continui a essere quello spazio di libertà che è sempre stato. Pur piccolo, pur oasi, ma che sia zona franca e affrancata, dove si coltivi un valore condiviso: la Roma. Calciopoli giornalisticamente non poteva che nascere in una piattaforma simile: cioè sgombra, nel senso di libera, folle, com’è folle solo pensarla una roba del genere e inzuppata di idealismo. Perché quel sentire romanista ha una duplicità perfetta per chi fa il giornalista: uno sguardo incazzato e innamorato. La Roma nel 1927 nasce all’opposizione contro più che il potere del Nord, contro il potere e basta, contemporaneamente unendo, ciò che era diviso, dall’amore verso la città (il suo nome, il suo simbolo, i suoi colori, la sua storia e soprattutto il suo cuore). Nessun altro giornale avrebbe potuto fare quello che fece Il Romanista, poi se ne pagano sempre le conseguenze ma il punto è essere disposti a farlo. In ogni campo.
Vent’anni di Romanista per me sono stati vent’anni di vita e la vita non è solo uno storione di tutte le cose belle fatte dal giornale (l’ambulanza per Luisa Petrucci, i soldi per il carcere femminile di Rebibbia, le raccolte fondi, la distribuzione de La vita è bella, le battaglie contro ogni forma di prepotenza nei confronti del tifoso eccetera). Vent’anni sono stati duri, ci sono stati liti, scazzi, incomprensioni, casse integrazioni, lotte sindacali in quella che era una famiglia, sospensioni, anni interrotti, stipendi non presi, ma poi c’è stato sempre il modo e il tempo di sanare tutto. Il Romanista è stata resistenza, è stato romanismo praticato quando per condannare la (non) scelta della società di non rinnovare De Rossi personalmente non ho parlato alla radio di quella società per cinque mesi, o adesso la scelta di ritornare proprio per parlare e “fare più Roma” piuttosto che lavorarci.
È stato coraggio sicuramente nel 2017 nel riuscire in edicola, è stato manifesto quando Francesco Rocca ha deciso di concedere la sua prima intervista dopo 35 anni dal suo addio al calcio a noi. E se io penso all’essere romanista, duro senza perdere la tenerezza, penso a lui, un uomo che quando è tornato allo stadio a vedere la sua Roma dopo anni si è andato a comprare l’abito nuovo. Il Romanista è stato un modo per mettersi in tasca l’infanzia e crescere senza perderla. E per farlo ci vuole il coraggio di non perdere quello che eravamo e continuare a sentire. “Perché a vent’anni è tutto ancora intero, perché a vent’anni è tutto chi lo sa, a vent’anni si è stupidi davvero quante balle si ha in testa a quella età… Oppure allora si era solo noi”… Ecco: quel che è rimasto dimmelo un po’ tu.
© RIPRODUZIONE RISERVATA