Cogito Ergo Sud

La plusvalenza del nome

Solo una cosa adesso può restituire" qualcosa" al tifoso della Roma: un grande allenatore. Roma ha bisogno di grandi gesti non solo di cose "giuste"

PUBBLICATO DA Tonino Cagnucci
02 Aprile 2019 - 08:35

Bisognerebbe parlare soltanto delle nove partite che mancano da qui alla fine, perché nove partite sono tante di per sé, perché sulla carta (solo sulla carta) tutto è raggiungibile e perché quando la Roma gioca è sempre una cosa sacra, pure un'amichevole. Bisognerebbe appellarsi ancora alla professionalità, all'amor proprio dei giocatori, al loro dovere contrattuale e a quello morale verso una maglia che deve diventare fuoco quando la indossi. Ma. Bisognerebbe parlare solo della Fiorentina ché se parliamo di amor proprio, maglia e obblighi di fronte a quello che è successo in Coppa Italia a Firenze dovrebbe bastare il nome e l'immagine di una divisa viola per scatenare un minimo, minimo di reazione nei giocatori domani sera. Ma sarebbero solo parole. Non hanno fatto niente finora le parole alla Roma. Più niente che danni persino. Ci stanno gli occhi e tutto quello che hanno visto in questa stagione e domenica pomeriggio.

È un'agonia così, fa male, è insopportabile, frustrante, e il fatto che (in ritardo) sia già cambiato l'allenatore e il diesse (complimenti ancora per l'eleganza e per la fuga, mentre qui resta chi si prende fango e fischi, anche se non soprattutto per i suoi gusti) rende tutto ancora più insopportabile perché ti dà l'idea - quasi una certezza - che non puoi più fare niente. Che si può fare per dare una scossa adesso? Richiamare Norman oltre che Lippie? Chiamare un esercito dei migliori preparatori atletici del mondo? Multe a go go a chi non si impegna come dovrebbe sempre? Ritiro a oltranza fino a fine campionato? Se sì fatelo, ma ovviamente oltre a boutade, mezzi slogan, paradossi e (apparenti) esagerazioni, anche queste sono solo parole. In attesa di miracoli c'è solo una cosa che può restituire "qualcosa" al tifoso della Roma: il futuro. Adesso.

Fategli capire che dopo 5 anni sul podio, dopo i record di punti societari, dopo aver lasciato in tutti questi anni Milano sempre molto al di sotto del nostro culo, dopo 5 Champions giocate e dopo quella notte d'aprile (che oggi fa male a pensarla, come se fossi stato sposato con la Fenech e oggi non t'è rimasto che guardare Postalmarket) che questa stagione è stato solo un incredibile e inaccettabile incidente di percorso. È su questa scelta del futuro che si può riconnotare anche questo presente disarmante. E il futuro non si fa con le parole ma prendendo un grande allenatore. Un nome che sia garanzia di serietà, di progetto (per davvero), che sia nei fatti tutto quello che a parole è stato fino adesso raccontato come progetto, che restituisca fiducia alla gente. Conte o chi per lui (purché sia a questo livello), ma non sotto a lui, sarebbe come un'abracadabra; con una parola, un nome appunto, riuscireste a fare tutti i discorsi che non sono stati mai fatti, e sarebbe un discorso semplice e chiaro e forte alle orecchie del tifoso, significherebbe più o meno che: «la Roma vuole vincere, la Roma è per davvero la squadra che in questi cinque anni prima di questa stagione maledetta e sbagliata sotto tutti i punti di vista (mercato, gestione, ritardi, piglio, decisione) è solo cresciuta; la Roma veramente vuole rigiocarsi quella notte e sognare di arrivare dove aspettiamo di andare da vent'anni».

Il grande ingaggio per un allenatore non sembra più una chimera in società, certo un grande allenatore lo convinci oltre che coi soldi con un progetto vero e che ha solo un fine: la vittoria. Come farlo spetta alla dirigenza romanista e alla volontà del presidente, se è vero che a Monchi aveva chiesto figure di primo livello, se è vero che con la Uefa si era lamentato del financial fair play perché a quel punto vale «la pena di pagare 12 milioni di multa», se è vero che c'è il rischio d'impresa e la creatività da applicare agli affari, oltre al fatto se è vero - ed è vero - che comunque dal punto di vista economico e finanziario la Roma è una società che è sempre cresciuta e ha all'orizzonte la possibilità di farsi lo stadio, e se è vero che i milioni pure quest'anno (più di 100) li hai tirati (malamente) fuori, occupare quella casella lì - GRANDE ALLENATORE - che finora è sempre stata l'unica rimasta vuota è anche la migliore plusvalenza che puoi fare. Parliamo di simboli, di segnali, di gesti, di cose non secondarie soprattutto a Roma.

Parliamo di dare veramente una scossa, di firmare quasi una dichiarazione pubblica d'intenti che non ha solo il cartello in cui c'è solo scritto vincere, ma la volontà di vincere veramente. Malgrado tutto. Non sono esigenze sabaude, sono striscioni da Commando. La possibilità di crearsene un'ossessione positiva, non un ostacolo che giorno dopo giorno aggiorna da quanto tempo è che non lo facciamo. Riconquisteresti la fiducia di una piazza che adesso è quantomeno, quantomeno, provata, restituiresti fiducia a chi l'ha persa e prima te l'aveva sempre data, conquisteresti forse per la prima volta chi non ti ha mai creduto, zittiresti faccendieri, telavevodettisti, cialtroni vari che adesso stanno vivendo il loro trionfo (è questa forse la colpa maggiore di questa società).

Roma è una piazza che vive di cuore e pancia, e avercene di cuore e pancia! Non vuol dire essere analfabeti funzionali, significa essere innamorati. Nel pallone è una cosa bella. È una cosa bella anche nella vita. La cessione di Strootman se pure finanziariamente e anche tecnicamente si è rivelata "giusta", resta sbagliata per la tempistica e per lo sconquasso emotivo creato nell'immaginario del tifoso romanista dal giorno stesso in cui è stata ratificata fino ad ora. Sono parole della Roma che quella cessione ha creato un malcontento esagerato, sono state anche le parole dei giocatori, cioè è stata semplicemente la realtà e la si poteva semplicemente e facilmente prevedere. Roma vive anche di Roma. Roma ha bisogno di gesti, non solo di cose "giuste". Roma ha bisogno di sogni, di lotte. Se dopo 5 anni di Champions, se dopo quella semifinale da sogno e dopo una stagione da incubo la Roma controsterzasse, rilanciasse, sparigliasse, reinvestisse, farebbe quello di cui veramente la gente di Roma ha bisogno. E lo so che l'espressione "laggente" non si può sentire, ma la gente invece sì. Va sentita. Esiste, non è solo una caricatura di un film di Moretti. Che poi è proprio questo il punto: la necessità di un incontro. Altre vie ora non ne vedo, anche perché negli occhi adesso c'è la Roma di oggi e no, no, no, no, no, il nostro cuore ha bisogno di vederla altrove. Foss'anche immaginazione.

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