Quando i miti vanno ko
Quasi tutti i migliori si fanno male in maniera grave. A volte il carattere permette di recuperare in tempi da record come Totti nel 2006
Gli infortuni fanno parte del calcio come della vita. Se ne subiscono in momenti radiosi e in momenti pessimi e sono sempre e comunque una tempesta che si abbatte su un uomo e su un atleta. Non è solo sfortuna, ma anche statistica: un calciatore impegnato sul campo per centinaia e infine migliaia di giorni finisce (a meno di rare eccezioni) per farsi male. Pensate ai nomi dei primi tre calciatori della storia della Roma che vi vengono in mente. Parto dai miei: Totti, Bernardini e Falcão… Ci sono andato vicino? Qualcuno tra i più anziani al posto di Falcão ha detto Masetti? Qualcuno un po' più giovane ha citato Voeller? Il discorso non cambia, tutti questi atleti in uno stadio della loro carriera hanno conosciuto problemi estremamente importanti che ne hanno interrotto l'attività per periodi più o meno lunghi.
Iniziamo da Guido Masetti. Siamo al 24 settembre 1931. La Roma gioca in Coppa Europa col Fist Vienna. Guido è uno dei giocatori emergenti del calcio italiano. Ha partecipato, assieme ai suoi compagni all'esaltante stagione che ha portato la Roma a lottare contro la Juventus per la conquista del titolo di campione d'Italia. Per la prima volta nella storia del calcio una formazione centromeridionale è stata realmente competitiva per il conseguimento del traguardo più prestigioso. In Coppa Europa la Roma contava sul suo portiere per riuscire a superare gli austriaci. Il Littoriale metteva in guardia sulla presenza di alcuni punti di forza del Fist Vienna. Scrive G. D'Alo che nel Fist: «giganteggiano due uomini: Popovich e Blum. Impossibile sorpassarli! Dei due più impressionante Blum, per la sua irruenza e per la potenza del suo calcio spazzatore. Sono passati diecianni, ma Bepi Blum, questo De Vecchi del calcio austriaco, è ancora sulla breccia, ben saldo in gambe, sempre giovanissimo nel fisico e nel morale». Con il promemoria di "Blum" nella testa, la squadra giallorossa sbarca a Vienna, dove trova un clima oltremodo rigido per il mese di settembre e un terreno ridotto a un pantano. Si parla anche di rinviare la gara prevista alla Hohe Warte, poi però si gioca e si gioca in un clima incandescente. Dopo 2', l'arbitro espelle dal campo Brossenbauer e D'Aquino (reo, di aver subito il fallo e di aver reagito). La Roma, soffre e Masetti salva almeno due gol fatti e neutralizza un calcio di rigore. Al 19' della ripresa (con una gara già pesantemente ipotecata dai padroni di casa), Masetti neutralizza un calcio di rigore: sulla respinta, Blum, proprio lui, si catapulta sul pallone preceduto, però, dal portiere. Masetti rimediò un calcio in testa violentissimo che avrebbe potuto toglierlo dai campi in maniera definitiva. Ne uscì invece praticamente indenne. Masetti dunque era fatto d'acciaio ed è immune? Neanche per sogno, qualche anno più tardi, nella gara scudetto del 10 maggio 1936 giocata a Palermo, dopo pochi minuti Guido subisce un grave infortunio alla spalla. Per non lasciare il campo in un momento tanto delicato della storia della Roma, stringe i denti e affronta il calvario. La Lupa vince in rimonta 1-3, ma Masetti, di fatto, sarà per alcuni mesi fuori causa.
Andiamo a un periodo molto più recente e facciamo alcune considerazioni su Rudi Völler. Anche lui subì un infortunio da trauma indotto. Questa volta non si trattò di un calcio in testa o di una spalla fracassata in una mischia. Siamo al 23 novembre 1985, il tedesco volante giocava ancora nel Werder, e era appena rientrato da un infortunio subito contro il Bochum che lo aveva tenuto lontano dai campi di gioco per due mesi. I biancoverdi giocavano contro il Bayern (che conduceva l'incontro per 1-0), quando Augenthaler, si macchiò di uno de falli più tremendi che ho visto nel calcio. Proprio sulla linea mediana del campo, Rudi aveva intercettato un retropassaggio col suo classico scatto in progressione si era lanciato in volata verso la rete avversaria. Augenthaler lo aveva atteso praticamente da fermo e disinteressandosi completamente del pallone, lo aveva brutalmente colpito, facendo perno sul ginocchio piegato per rendere più devastante l'urto. Rudi porta le mani al ginocchio quando è ancora in volo, prima di toccare terra falciato in corsa dall'intervento del suo avversario. Gli adduttori della coscia sinistra erano saltati. Rientrerà nel mese di aprile e sarà costretto a disputare il Mondiale del1986 a mezzo servizio. Gli strascichi di quel terribile urto si trascinarono ancora per un anno, tanto che, più di un dirigente del Werder fu favorevole alla cessione alla Roma.
Per quanto riguarda Totti la memoria di quanto accadde è viva in tutti i tifosi della Roma. Da settimane c'era allarme sulla "caccia" alle gambe del capitano romanista, martoriate da falli di ogni genere (andate a rivedere gli articoli del Romanista di quel periodo), tanto che le sue caviglie erano state mostrate da Vito Scala alle telecamere Rai, a monito per i naviganti. Nulla da fare. Il 19 febbraio 2006, la Roma, era impegnata contro l'Empoli, Richard Vanigli, numero 15 della squadra toscana, in un'entrata irruenta e scomposta, causa la «frattura al livello del terzo medio del perone sinistro con associata lesione capsulo-legamentosa complessa del collo del piede sinistro». Nelle dodici partite finali del campionato, la Roma priva di Totti ottenne 4 vittorie, 6 pari e 2 ko. Alla fine del torneo, per effetto di Calciopoli, l'Inter con sette punti di più avrebbe vinto lo scudetto… con Francesco in campo, come sarebbero andate a finire le cose è piuttosto evidente. Grazie alla sua tempra formidabile Totti riuscì, battendo ogni record a rimettersi in piedi in tempo utile per disputare i Mondiali in Germania: un autentico miracolo si tradusse nel titolo di Campione del Mondo. Arriviamo a Paulo Roberto Falcão. È il 1 aprile 1984… la Roma gioca all'Olimpico contro l'Inter. Al 37' del primo tempo, Falcão è affrontato a centrocampo da Beppe Baresi che piomba sul brasiliano alle spalle e l'impatto è dei più duri. Paulo rimane in campo, zoppicando su una sola gamba, quella sinistra. Negli spogliatoi si decide la sostituzione. Alicicco accompagna Falcão a Villa Bianca per degli esami radiografici che evidenzieranno una «contusione al ginocchio destro con risentimento al collaterale». È questo l'infortunio che terrà Falcão in una condizione di grande fragilità fisica (alla fine della semifinale di ritorno di Coppa dei Campioni col Dundee il ginocchio si gonfierà vistosamente) sino alla finale del 30 maggio 1984, contribuendo poi a rendere tormentati gli ultimi mesi della carriera giallorossa del Divino.
Abbiamo lasciato per ultimo il "Dottore" Fulvio Bernardini che uscì quasi indenne da una lunghissima carriera calcistica, per poi rischiare addirittura di morire da allenatore, quando il debilitamento per il grande sforzo fisico per seguire la Roma, lo portò, nei giorni tra il 5 e il 7 settembre 1949, a uno stadio febbrile sfociato in setticemia. Solo l'intervento disperato del Professor Zappalà, massicce dosi di penicillina e la tempra di Fulvio, gli salvarono la vita. Non è un infortunio, d'accordo, ma è l'eccezione che conferma la regola e che conferma la fragilità delle macchine umane degli atleti che sembrano fatte d'acciaio e che in realtà sono più esposte che mai, a causa dello stress agonistico, alle insidie degli infortuni. L'elenco degli infortunati, purtroppo, potrebbe continuare a lungo, con i nomi di Carlo Ancelotti (due volte sotto i ferri del professor Perugia negli anni di appartenenza al club), Francesco Rocca (che ha ripercorso recentemente la sua odissea in una storica intervista concessa al Romanista e realizzata da Tonino Cagnucci), Valerio Spadoni. Sul finale di questo pezzo, però, mi piace concludere raccontando quella che fu l'esperienza vissuta nel caso di Luigi Brunella. Nella stagione 1938/39, militando nel Toro, il difensore aveva subito un brutto infortunio al ginocchio. I granata lo avevano sottoposto a sei mesi di intense cure, ma la situazione non sembrava avere sbocchi. Non appena provava a rientrare in campo, Luigi avvertiva dei forti dolorie il ginocchio reagiva in modo sinistro. Il Torino lo cedette alla Roma e nei primi mesi trascorsi nella capitale, fu lo stesso terzino a chiedere al tecnico Ara di non farlo scendere in campo. Le cronache degli allenamenti di quelle settimane ne testimoniano il lento recupero. Quando entrò in campo, però, non uscì più di squadra e contribuì in maniera straordinaria alla conquista dello scudetto del 1942. A ogni gara con i giallorossi i dirigenti del Torino lo avvicinavano con il viso impietrito e gli chiedevano: «Luigi ma il ginocchio come va?». «Bene, grazie, tutto a posto». Speriamo di poter tornare a dirlo presto.
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