10 agosto: la storia si ripete, da Paulo a Paulo
Nel 1980 lo sbarco di Falcao, che arrivò al posto di Zico. Meno di un mese fa l’arrivo di Dybala, che ha portato in piazza decine di migliaia di tifosi
Il problema, alla fine del primo tempo - in un pomeriggio di fine agosto che c’era un caldo che oggi ci farebbero i servizi al TG4 - era che aveva fatto solo un colpo di tacco, laggiù, sotto la Tevere. Ed era stato quello il solo momento in cui lo Stadio, che non aspettava altro, l’aveva applaudito. Per il resto, dalla curva lo avevamo visto muoversi a centrocampo, toccando la palla benissimo, va detto, ma senza fare chissà che cosa. E, sotto voce, ma poi mica tanto, qualcuno iniziava ad invocare il nome di Zico, che era quello che doveva arrivare ma che poi non era arrivato. E quel nome, “Zico”, passava, di bocca in bocca, come un’invocazione, ormai rivolta al nulla visto che l’unico posto che uno straniero potesse occupare era stato occupato.
Nell’intervallo, quindi, io, che non avevo ancora diciott’anni, mi girai e, rivolgendomi a mio cugino, più grande di me di sei anni, e che ne sapeva (e che ne sa, e come se ne sa), dissi: “Mauro, ma questo di brasiliano non c’ha nulla”, ovviamente lasciando intendere che forse l’acquisto non fosse stato proprio azzeccatissimo. La risposta ce l’ho ancora impressa: “Questo è fortissimo. Questo fa giocare tutta la squadra. Ha ragione Liedholm”.
Lì per lì pensai che fosse l’uscita, un po’ singolare, di un giovane giornalista che volesse fare l’originale. Che fosse forte, era evidente. Ma che fosse “fortissimo”, al punto da zittire quel “Zico”, pronunciato tra un sospiro e un altro, beh, questo proprio no.
Ovviamente, mi sbagliavo, e, con me, molti di quelli che stavano in quella curva. Perché, e quello che è successo negli anni a venire ce l’ha spiegato bene, quel brasiliano non solo avrebbe fatto giocare tutta la squadra, ma avrebbe anche cambiato l’idea stessa che un intero popolo aveva di quella squadra, di se stesso rispetto alle altre tifoserie, dell’approccio che ciascuno di noi aveva, la domenica ed il mercoledì, alla partita, in casa ed in trasferta, in campionato ed in coppa. Non eravamo più la Roma che, appena qualche mese prima, aveva vinto la Coppa Italia, ai rigori, partendo da sfavorita. Saremmo diventati la Roma che, dopo qualche mese, avrebbe giocato meglio di tutti. Quella del gol di Turone, fermata, nella sua corsa a vincere un campionato giocando il calcio migliore, soltanto da una bandierina di troppo.
Ora, io non so quanto la Storia sia chiamata a ripetersi. Non so se, da Paulo a Paulo, il significato di tutto questo sia che, il prossimo anno, torneremo a giocare pensando, la sera prima, che potremmo vincere ogni partita e che qualunque pareggio ci potrebbe andare stretto. Non so se sarà tutto questo.
So, però, e con certezza, che qualche sera fa, verso le 21, quando, chissà come, tornando a casa con la moto ho sbagliato strada e mi sono ritrovato - ma dimmi te come - dalle parti dell’Eur, che non si camminava, in mezzo a bandiere e a cori e a magliette e a gente che non aveva ancora diciott’anni, proprio come me allora, ho sentito quella stessa sensazione che ebbi dopo che mio cugino Mauro mi disse quel “Questo è fortissimo”. E gli credetti sulla fiducia. Pensai che forse potesse essere arrivato veramente il momento che magari, chissà come, vuoi vedere che. Ecco, questo è quello che avevo sentito allora e questo è quello che ho sentito al Colosseo quadrato.
E se un tifoso, un tifoso qualunque come me, sente che forse, chissà, magari, allora vuol dire che, al di là di come andranno campionato e coppe, la stagione è partita con il piede giusto. Perché società, squadra e tifoseria stanno iniziando a fare blocco unico. E si tratterà, a questo punto, solo di vincere. Che non sarà proprio facilissimo. Ma voi vi ricordate mai una vittoria che sia stata facile nella nostra Storia? Io no. Nemmeno quando c’era quell’altro Paulo. Che arrivò, ad agosto, con la gente che pensava a Zico. E adesso, che sono quasi quarant’anni che se n’è andato, la gente ne parla ancora. Come di quest’altro Paulo. Quello che è arrivato adesso. Che quella sera, all’Eur, c’era gente che c’era venuta da tutta Roma per andare a salutarlo. Anche quella che aveva sbagliato strada.
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