Ritratti

RomAntica - Aristide Coscia, fantasia al potere

Stella della squadra che vince il tricolore. Nel giugno dell'43 lascia Roma e per mesi non si sa nulla di lui. Dopo la guerra va alla Juve. Poi Alessandria e Samp

PUBBLICATO DA Massimo Izzi
25 Gennaio 2018 - 12:00

Cominciamo con il dire questo, Aristide Coscia giocava con la maglia numero 10. Era la fantasia, l'estro. Amedeo Amadei una volta mi disse che se proprio avesse dovuto indicare il migliore tra i giocatori della Roma che avevano conquistato lo scudetto assieme a lui, avrebbe fatto il nome di Aristide Coscia. Rimasi un secondo interdetto, non ebbi la prontezza di ribattergli per capire meglio. Amadei mi metteva una certa soggezione. Lo vedevo come un professore universitario e non ce la feci a dirgli: «Ma come? E allora Masetti? Mornese? E naturalmente Amadei?».

Ci ho ragionato a lungo e poi ho letto molto delle fonti d'epoca e a poco a poco ho anche capito. Per vincere quello scudetto la Roma partì dall'esordio contro il Napoli. Il precampionato era andato veramente male. Una sconfitta in amichevole con il Terni, l'eliminazione nel primo turno di Coppa Italia contro il Novara e dulcis in fundo un'altra sconfitta casalinga contro la Fiorentina nell'ultimo collaudo prima dell'inizio del torneo. Dire che la squadra partiva a fari spenti è poco.

Arriva il debutto contro il Napoli e dopo 13', Coscia riceve un lancio da Amadei. Tutti aspettano che addomestichi il pallone, lui, invece, lo gira al volo, di testa, servendo Di Pasquale che davanti a Blason mira all'angolo alla sinistra del portiere partenopeo e sblocca il risultato. I giallorossi a questo punto travolgono gli ospiti con cinque reti. A fine gara, tanto per capire lo scetticismo, un giornalista chiese al tecnico Schaffer con un intento volutamente beffardo: «Non le pare che era meglio riservare uno dei gol di oggi per domenica prossima?». Questi rispose nel suo italiano approssimato facendosi però capire benissimo: «No, possibile segnarne altri».

Prima della gara contro la Juventus del 9 novembre Il Littoriale scrisse: «Eleganza, sicurezza, stile, continuità, queste le doti che fanno di Coscia, il primo della classe fra i giocatori giallorossi e uno degli esponenti della nuova generazione di calciatori italiani». Sapete come andò a finire? Che madama bianconera perse per 2-0 e che il gol che schiodò il match dal pareggio, partì sempre dal piede di Aristide Coscia. Era il 15', il gioco stazionava a centrocampo: Olmi allunga su Colaneri ma il numero "10" giallorosso s'inserisce come un fantasma, arpiona il pallone e in un secondo, con un lancio in profondità, taglia tutto il campo e serve Krieziu. Naim punta verso la porta e fa secco il portiere Goffi (giuro il nome è questo), facendogli passare il pallone sotto le gambe. Potrei andare avanti così seguendo tutte le trenta giornate.

Vi prego invece di credermi sulla fiducia, Amadei aveva ragione: Aristide Coscia era non solo la mente della Roma, ma all'occorrenza sapeva diventare un portatore d'acqua. Era un giocatore completo e un grande campione.

La storia però, va per conto suo e il 25 luglio e l'8 settembre 1943 travolgono non solo lo sport ma l'intero paese. Coscia lascia Roma a giugno e viene sorpreso dai rivolgimenti epocali che abbiamo ricordato ad Alessandria.

Per alcuni mesi non si sa più nulla di lui, quindi a dicembre del 1943, lo ritroviamo all'Ambrosiana Inter, mentre gioca contro il "Torino FIAT" che schiera Mazzola e Piola. Rimarrà in nerazzurro sino alla fine di giugno del 1944. Poi? Nell'estate del 1944, tutte le attività sportive vennero sospese, ma in realtà la pratica calcistica in qualche modo riuscì a sopravvivere con tornei semi-amatoriali. Un illuminante articolo di Giorgio Boriani ("Vita e miracoli del calcio lombardo durante l'occupazione nazifascista"), pubblicato dal C.d.S. il 12 giugno 1945, getta luce su quello che fu il destino di Coscia nella stagione 1944/45.
Il campione romanista giocò infatti, secondo quanto riportato, nel Varese, che per un certo periodo si giovò di Meazza come allenatore-giocatore. Per far capire quale fosse però il clima, basterà dire che l'attività venne sospesa quando il Campo Littorio di Masnago, dove la squadra giocava, venne requisito e adibito a Campo di concentramento (dove vennero tenuti in prigionia oltre 700 persone).

All'inizio di agosto del 1945, l'Onorevole Baldassarre, presidente della Roma, Vincenzo Biancone, Direttore Sportivo, e Giovanni Degni, nuovo allenatore, partirono verso il Nord del paese nel tentativo di riportare all'ovile tutti quei calciatori che durante gli anni di guerra si erano allontanati dalla capitale. Sulla loro agenda c'erano i nomi di Risorti, Brunella, Contin… e soprattutto quello di Aristide Coscia. Il drappello dirigenziale giallorosso si recò a Livorno, quindi fece una deviazione a Santa Croce, sulle rive dell'Arno, dove venne rintracciato Risorti, infine fece rotta verso Alessandria. Qui di Coscia nessuna traccia, sembrava volatilizzato. Per un caso del tutto fortuito che avrebbe senz'altro interessato Italo Svevo, i tre incrociarono un funerale. Era quello della madre di Cattaneo, ex calciatore romanista. Biancone riconobbe nel corteo un dirigente dell'Alessandria che conosceva da anni e questi gli spiegò come poteva rintracciare Coscia.

L'11 agosto il Corriere dello Sport scriveva: «Coscia a Roma non verrà. Egli non fa questioni di condizioni, si tratta proprio di impossibilità materiale. Coscia infatti non abita più ad Alessandria, ma in una frazione vicino: la sua casa venne bombardata, ed ora egli deve pensare alla famiglia. Per venire a Roma egli avrebbe dovuto far venire con lui tutti i suoi, cosa impossibile dato il costo della vita in una grande città. A malincuore, così, la Roma ha dovuto rassegnarsi a cedere quella che è stata la sua più bella mezz'ala dopo Scopelli». Due giorni più tardi, sempre lo stesso quotidiano annunciava il passaggio ufficiale di Coscia alla Juventus. L'acquisto, si scriveva, era stato fortemente voluto da Borel II.

La Roma dunque perde Coscia che terminata la parentesi bianconera (il ricordo più duraturo rimarrà una forte amicizia con Giampiero Boniperti) prosegue la sua carriera nell'Alessandria e, dal 1948, nella Sampdoria. E proprio in vista del doppio scontro con i doriani, ci sembrava giusto ricordarlo facendo riferimento all'ultimo Sampdoria-Roma disputato nella sua lunghissima e strepitosa carriera.
La gara si giocò allo Stadio Marassi il 12 aprile 1953. Il confronto con i blucerchiati quel giorno si era messo subito in salita. Al 7' Galassi, dopo un rapido mezzo giro su se stesso, cercò di spedire la palla al centro, andando a incocciare sull'incolpevole Tre Re, che era a meno di mezzo metro di distanza. L'arbitro Agnolin decretò il calcio di rigore che, a detta di una testata neutrale come La Stampa dell'indomani, sembrò: «un'enormità agli stessi genovesi». Tra i pali della Roma c'era Luciano Tessari, futuro indimenticabile Vice Liedholm, che cercò di prendere il tempo alla battuta di Gatti, ma questo, con un tiro rasoterra, mise la palla nel sacco. La Roma si gettò in avanti alla ricerca del pareggio. Il direttore di gara sorvolò su un atterramento in area di Pandolfini, quindi fu Moro, futuro giallorosso in quella stagione in forza ai doriani, a deviare in angolo una forte conclusione di Zecca.

Al 16' però, Bronee decideva che l'attesa del pareggio poteva considerarsi sufficiente: seminava il panico nella retroguardia avversaria e al limite dell'area lasciava andare un tiro che a mezz'altezza trovava la rete. Al 21' i lupi passano in vantaggio: Lucchesi piega verso il centro proveniente dalla fascia, a venti metri dalla porta inventa un passaggio filtrante per Pandolfini che salta Moro in uscita e deposita in gol. La Roma domina ma al 32', tutti si accorgono che in campo c'è anche Aristide Coscia. Splendida azione di rimessa la sua, che chiude con un tiro che supera Tessari ma non Tre Re che, appostato sulla linea, respinge con un colpo di testa. La palla arriva al terzino Podestà che non sapendo bene come altro utilizzarla, la scaglia di prima intenzione in avanti con una botta magistrale che riporta in equilibrio il match. Nella ripresa, nonostante una traversa colpita da Lucchesi, è la Sampdoria a far urlare i suoi tifosi. Calcio di punizione. Batte Coscia, Gotti raccoglie e segna… ma fortunatamente si aiuta con una mano e l'arbitro questa volta non sbaglia e annulla. Finisce 2-2. Esce dal campo Aristide Coscia che giocherà nella Sampdoria ancora una stagione, senza però essere più schierato contro la sua vecchia squadra, per poi iniziare la carriera di allenatore. Sampdoria-Roma è anche la sua partita.

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