La partita più grande
Roma-Dundee 3-0. Ci ha portato a giocare la finale della Coppa dei Campioni. Se non l’abbiamo vinta, è forse perché nessun’altra partita poteva essere così bella
È poco chiamarla partita. Sarà poco pure parlare di quello che ha fatto il Bomber. Che paura, dentro. Ma quanta Roma di più. I ragazzini fanno tre con le dita della mano, gli sbandieratori del Commando il sole, uno striscione dice: «Roma oltre la leggenda»; un altro era stato portato in giro dentro lo stadio e fatto leggere a tutti: «Almeno una volta tutto lo stadio come gli ultrà». Fu qualcosa di superiore. Il primo gol annullato a Bruno Conti, e nessuno capiva perché; la doppietta di Pruzzo, con la testa e col destro, mai così Bomber, mai così grande, mai così necessario; Graziani che gioca da Pelè, e finisce in mutande; il rigore realizzato da Agostino Di Bartolomei perché era giusto che quella finale, la finale delle finali, la prendesse il Capitano. Quel Capitano.
Un altro gol annullato a Conti, l'ammonizione da squalifica a Maldera di Vautrot, la gioia esplosiva e di rivincita di Nela e di Agostino verso McClean, l'allenatore scozzese che all'andata aveva definito «bastardi» gli italiani. Pochi si ricordano che sullo 0-0 il Dundee, non si sa come, non aveva segnato. Forse perché davanti a quella Roma non poteva segnare. No. Quel Roma-Dundee resterà per sempre solo nostro. Stavolta le parole dei calciatori (ma erano solo calciatori quelli di quel giorno?) non sono solo parole: «Ora posso dirlo, questa gioia per me è stata superiore persino a quella dello Scudetto», firmato, come nel tabellino, Roberto Pruzzo. Di Bartolomei: «Ho tirato il rigore più importante della mia vita, non ho mai avuto paura di sbagliarlo». Graziani in mutande: «Il primo gol lo ha segnato il pubblico. Io ho dato tutto non potevamo deludere questa gente: avete visto che roba?».
E mentre Falcao raccontava di non stare bene e cominciava già un altro conto alla rovescia verso la finale, sono le parole di Michele Nappi, cioè di un cosiddetto comprimario, che restituiscono meglio il senso di cosa è stato Roma-Dundee: «Non ho parole. Dico che è una cosa meravigliosa, immensa questo pubblico che canta la gloria della squadra. Sentirmi strappare la maglia e la pelle… ho dovuto aspettare 33 anni per provare questa cosa». Era la sua età. Roma-Dundee è stata l'età più bella della nostra vita romanista. Ci ha portato a giocare l'ultima partita possibile. Se non l'abbiamo vinta, è forse anche perché nessun'altra partita poteva essere così bella.
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