Quando la Roma arrivò in finale con un'autorete di van Basten
I rossoneri fanno 17 tiri in porta, noi 1: l’autogol dell'olandese che ci fa vincere. Il Milan prende due pali, la Roma la gara di Coppa da vincere per Viola
Questo Roma-Milan – ritorno di semifinale di Coppa Italia – è un unicum perché è insieme la partita meno romanista e la più romanista della nostra storia.
È la meno romanista perché, a memoria, non c'è altra partita così immeritatamente vinta sul piano del gioco e delle occasioni, e alla Roma solitamente capita esattamente il contrario: cioè di sfiorare l'impresa, di meritare ma non vincere alla fine, il "grazie lo stesso" soprattutto perché sì, è indubbio, meritavamo noi.
Ma è la più romanista per la sofferenza, l'abnegazione, il fiato, l'epica, il cuore non solo messo, ma lasciato sul campo: se guardate e riguardate questa partita, vi convincerete che ancora adesso quello che la Roma ha lasciato lì, è a terra che si dibatte. Nessun giochetto filosofico, solo statistiche in diretta su «Italia1» (è andata così all'epoca, col commento tecnico di Fabio Capello): «Roma un (1) tiro in porta, Milan diciassette (17); Roma (Giovanni Cervone) dieci (10) parate, Milan (Sebastiano Rossi) una (1)».
Il tabellino, però, non racconta che le dieci parate di Cervone sono state dieci parate decisive: la più facile, uno scatto di reni sotto la traversa della Sud cannoneggiata con un tiro al minuto, e quella di Sebastiano Rossi che è stata fatta quasi per sbaglio. Il tabellino omette la partita: Nela che scivola addosso al palo per coprirlo quando Massaro ha scartato pure Cervone e doveva solo buttarla dentro; Voeller che finisce in canottiera; Gerolin che sbuffa; Agostini il "condor", uno degli ex, che – intervistato da Alberto D'Aguanno (ciao per sempre grande romanista) – più che commentare, sorride incredulo dicendo, con rispetto, «abbiamo subìto un tiro in porta». Ci sono anche due pali colpiti, da Massaro e da Donadoni. Il tabellino omette la partita, però in fondo c'è tutto nella voce marcatori: «24'pt van Basten (autorete)». Che vòi de più? L'attaccante per eccellenza, la punta per antonomasia, per forza ed eleganza, l'attaccante (che fra l'altro nelle due precedenti partite a questa dell'Olimpico aveva segnato per il Milan favorendo due autoreti), l'uomo del gol degli Anni Novanta, come il più incredibile, surreale e grottesco antesignano di Paolo Negro! Gol. Su tiro di Carboni da fuori area, che probabilmente sarebbe andato fuori lo stadio. Sotto la Sud. Tutto così incredibile, così splendido alla fine.
Tutto comunque romanista. Soprattutto romanista. Rijkaard due volte, Massaro tre volte, Agostini con la testa, Donadoni che prende la traversa, van Basten che non si sa come non abbia fatto almeno l'1-1… C'è da snocciolare un rosario di ringraziamenti per come è finita: 1-0. E all'andata di San Siro 0-0. E alla Romamancavano i giocatori, e il Milan era al completo, e il Milan era campione d'Europa in carica, e la Roma non aveva il suo presidente, e la squalifica di Peruzzi e Carnevale, e i tanti infortuni, e la Roma e il rischio di andare all'asta, e la Roma che mentre tutto il mondo attorno le girava contro s'è ritrovata con se stessa e i suoi tifosi e così strappa pure questa finale, così come aveva eliminato la Juve vincendo a Torino, il Genoa che quell'anno arriverà quarto in campionato, persino i sedicesimi erano stati "qualcosa" contro il Foggia che era Zemanlandia. La Roma che fa la Roma e allora si giocherà questa coppa a Genova con la Sampdoria. Per Dino Viola. Forse quella sera all'Olimpico ci ha pensato davvero lui.
(Tratto da "Le cento partite che hanno fatto la storia della Roma" di Tonino Cagnucci e Massimo Izzi, edito da Newton).
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