Roma-Colonia 2-0: quando diventammo grandi
La strepitosa rimonta contro Littbarski, Bonhof e Michels in panchina Sconfitta ribaltata con Iorio e un immenso Falcao
L'esercizio da fare una volta che si sente il boato immediatamente successivo al triplice fischio dell'arbitro belga Schoeters è chiudere gli occhi e lasciar fluire immagini, pensieri, persino i profumi appena respirati per capire se quell'inebriante sensazione di grandezza può essere figlia della suggestione, per il fatto di aver rivisto quell'impresa in questi asettici giorni da Coronavirus, o se realmente quella squadra aveva raggiunto dei vertici di assoluta imponenza.
Ma anche dopo aver fatto scivolar via le percezioni epidermiche il pensiero martellante resta: forse la Roma di Roma-Colonia 2-0 dell'8 dicembre 1982 è stata la più alta espressione di forza e bravura mostrata dai giocatori della squadra che amiamo. Un insieme di tecnica, tattica ed agonismo a livelli sublimi, assoluti, davvero forse insuperabili. Giocatori capaci di esprimersi tutti insieme al massimo ciascuno delle proprie potenzialità, con ruoli indefiniti, continue sovrapposizioni, capaci di disegnare figure geometriche sempre nuove, non catalogabili, ora un triangolo, ora una corsa in cerchio, ora uno schizofrenico diagramma, ora una linea perfetta, ma sempre alla ricerca della cosa giusta da fare nel momento e riuscendoci sempre, ridisegnando il concetto stesso di resilienza, una squadra operaia e regale al tempo stesso, in cui ognuno era realmente al servizio dell'altro, e della causa, e dell'allenatore (la meravigliosa figura di Nils Liedholm, sempre seduto e composto anche nei momenti più concitati della partita, stando almeno alle fugaci inquadrature di una regia televisiva che all'epoca concedeva assai poco al contorno e tutto alla sostanza), e della nostra patria giallorossa.
Finì come doveva finire, con la vittoria raggiunta e la rimonta completata dopo la sconfitta di misura dell'andata, peraltro contro una squadra fortissima, piena di grandi giocatori, con fuoriclasse come Schumacher, Littbarski e Bonhof, e in panchina un totem assoluto, quel Rinus Michels che è stata principale e universalmente riconosciuta fonte di ispirazione dei migliori allenatori della storia del calcio moderno.
Scuole a confronto
Quel giorno si scontrarono due diverse modernità: da una parte quella della Roma, capolista e poi campione di un'Italia campione del mondo e quindi principale ed innovativa esponente di un movimento calcistico ormai preso a modello universale, dall'altra quella di un uomo, il maestro Michels, che dopo aver compiuto una mirabile rivoluzione guidando e in qualche modo fondendo i principi calcistici dell'Ajax e del Barcellona, sublimandoli nell'Arancia Meccanica ai mondiali tedeschi del 1974 - questo merito gli valse il riconoscimento di essere eletto allenatore del secolo dalla Fifa e primo dei 50 allenatori migliori della storia dalla rivista France Football - riprese il gusto di allenare in Europa proprio al Colonia, dopo aver tentato una ben remunerata esperienza negli Stati Uniti. Vinse anche lui quell'anno, nel 1982-83, vinse la coppa di Germania, lasciando il titolo di campione all'Amburgo che poi batté la Juventus nella finale di Coppa dei Campioni. Insomma, quello tra Italia e Germania era un confronto continuo e inesauribile a cui la sapienza "straniera" dello svedese Liedholm e dell'olandese Michels in quel particolare confronto aggiungeva molto.
Le squadre
La sfida fu programmata alle 14,30 di un giorno di festa, l'8 dicembre, usava così, niente imposizioni serali e comunque il cielo quel giorno era talmente plumbeo che all'intervallo della gara, quindi alle 15,20, si accesero i riflettori per far vedere meglio a quell'immenso popolo coinvolto (66.720 spettatori paganti, incasso di 906.300.000 lire, nuovo record italiano) quel che accadeva. Diversi milioni la videro da casa, anche "dalla zona di Roma", per ricordar quella curiosa prassi per cui si allargava la possibilità di vedere in tv una diretta di una partita anche per i telespettatori della zona in cui si giocava solo se si era già raggiunto il tutto esaurito al botteghino. E oggi tutti possono rivederla attraverso il sito Footballia.net che sta dando anche a noi la possibilità di rigustare 17.000 gare intere di un immenso archivio televisivo, messo a disposizione gratuita degli utenti registrati. Ecco, se Carl Zeiss Jena-Roma (prima puntata della nostra rubrica) è stato il primo infortunio di un percorso di costruzione di una squadra, forse Roma-Colonia è l'apice opposto, è il raggiungimento di una (semi)perfezione. Pur giocando una bellissima gara anche in casa loro la Roma all'andata si era arresa a un gol di Klaus Allofs, segaligno e molto prolifico attaccante tedesco. Ribaltare il risultato si annunciava impresa complicatissima che la Roma affrontò con la sua formazione migliore, quella che imparammo a conoscere recitandola a memoria: Tancredi, Nela, Vierchowod, Ancelotti, Falcao, Maldera, Iorio, Prohaska, Pruzzo, Di Bartolomei, Conti. Resteranno tutti in campo fino alla fine: strano a dirsi ma non ci furono cambi.
La rivoluzione di Liedholm si compì anche per i numeri: i due marcatori centrali (rigorosamente "a zona", cioè non destinati a marcature personalizzate: considerate che nei tabellini dei giornali dell'epoca si segnavano anche le marcature di ogni difensore sugli attaccanti avversari) portavano il 3 e il 10, Maldera era il terzino sinistro col 6, Conti l'ala destra con l'11, Iorio la seconda punta col 7 e ovviamente il regista era Falcao, che portò dal Brasile l'abitudine di giocare col 5, il numero più "proletario" per l'Italia, quello destinato allo stopper (almeno il 6 era del "libero", il più sapiente dei due difensori).
Il 5 era invece in Sudamerica il numero del "volante", termine con cui si definisce il ruolo di chi ha il compito di interrompere la manovra avversaria e rilanciare la propria. Ecco se si vuole capire che ruolo sia, basti riguardare la prova di Falcao di quel giorno e se ne avrà la più efficace spiegazione. Ma tutta la squadra fornì una prestazione eccezionale: la Roma attaccò dal primo al 91' minuto (sì, allora si giocava senza perdite di tempo, l'arbitro alla fine di una partita così tesa ed equilibrata assegnò un solo minuto di recupero) senza mai perdere l'equilibrio dietro, eppure portando in attacco ad ogni azione fino a 8 uomini, con Di Bartolomei primo ispiratore di ogni manovra (a causa della fantastica intuizione di Liedholm, che lo tolse dal centrocampo e lo abbassò in difesa per far posto a un geometra come Prohaska in mezzo al campo, tra due fenomeni come Falcao e Ancelotti), Vierchowod implacabile baluardo difensivo, Nela (mancino a destra) e Maldera (elegantissimo cursore di sinistra) erano le vere ali della squadra, ma un secondo dopo la fine dell'azione erano già allineati in difesa, Iorio e Conti gli attaccanti esterni che venivano incontro proprio come fanno oggi gli esterni di Fonseca, e Pruzzo era l'unico riferimento offensivo reale, un infaticabile intruppone che saliva in cielo su ogni cross e rendeva mansueto ogni pallone scaraventato dalle sue parti.
La cronaca del primo tempo
La misurata esposizione del più grande telecronista italiano, Nando Martellini, nulla toglie all'enfatico susseguirsi di eventi della gara. In tribuna vengono notati l'avvocato Agnelli e il ministro Signorello e i laziali Giordano e Manfredonia: la Roma in quel periodo attirava l'attenzione di tutti. I primi minuti trascorrono nella nebbia dei fumogeni accesi a inizio gara ad illuminare la strepitosa coreografia del Commando, con il celebre striscione "Non passa lo straniero" accanto a quello de "I ragazzi della Sud" che è immortalato in mille foto e centomila ricordi della nostra mente. La Roma è subito arrembante anche se la difesa tedesca è ben organizzata (marcano a uomo, come sottolinea la "seconda voce" Giorgio Martino, ma salgono rapidamente per mettere in fuorigioco gli avversari proprio come faceva l'Ajax di Michels).
Al 9' uno dei difensori, Cullmann, passa all'indietro verso Schumacher e guardando la vicinanza di Pruzzo a distanza di anni abbiamo un sussulto: ma allora era possibile per il portiere ricevere il passaggio e bloccarlo con le mani, con tanti saluti alle estreme volontà di pressione alta. Ma la Roma il pressing ce l'aveva nel sangue e la difesa di Liedholm era concepita solo "in avanti", come avrebbe teorizzato tanti anni dopo Guardiola col suo Barcellona: e vedere Ancelotti, Conti e Pruzzo avventarsi sugli avversari in uscita con la palla fa davvero impressione. I falli sono davvero pesanti, ma nessuno se ne lamenta. Iorio dopo undici minuti ha già steso due avversari, ma l'arbitro non tira fuori neanche un cartellino. Ci sarà un solo ammonito, Allofs, a pochi minuti dalla fine, nonostante diversi interventi che oggi provocherebbero sdegnati articoli di condanna. E anche il fair-play "imposto" era bandito: con i giocatori ancora a terra dopo un fallo si riprendeva rapidamente a giocare, tanto che gli infortunati riprendevano subito il loro posto nel campo, senza alcuna tendenza alla simulazione per perdere tempo.
Al 14' il pallone finisce nel fossato che divideva il campo dalla Tevere e per recuperarlo vi si cala dentro uno spettatore: si giocava con un solo pallone finché non si bucava. Al 16' la magia dell'intesa tra Di Bartolomei e Conti, poi ripetuta al 33': bastava uno sguardo tra i due, con Bruno che in contromovimento scivolava alle spalle del suo marcatore e Ago che lo pescava chirurgico col lancio a lunga gittata. Ma in queste due occasioni non ha funzionato. Il resto però va che è una meraviglia: i difensori romanisti interrompono qualsiasi ripartenza, non perdono neanche un duello individuale, Vierchowod fa per due in difesa (Ago non è un difensore e chi lo punta lo salta, ma per questo grazie alla sua mente superiore gioca sempre d'anticipo e così non lo frega nessuno), Ancelotti e Prohaska spesso si allargano sulle fasce a proporre sponde, il pallino ce l'ha sempre la Roma, ma è difficile tirare in porta. Ci prova Nela su uno dei pochi svarioni difensivi, di Cullmann, ma Prestin salva sulla linea. I tedeschi sono pericolosi solo su punizione e al 45' Allofs allunga una mano per segnare così: l'arbitro se ne accorge e con un buffetto si riprende a giocare. Nessuno, ancora, reclama gialli.
La cronaca della ripresa
Vengono accesi i riflettori e si fa luce pure sulle speranze di qualificazione della Roma quando Iorio rimette in porta un bolide di Di Bartolomei cui Schumacher aveva provato ad opporsi. Nuovi fumogeni illuminano la Sud nella corsa della squadra all'abbraccio con la sua gente. L'altoparlante regala due annunci raggelanti, invitando due signori ("Berruti e Ricci") a raggiungere urgentemente le rispettive abitazioni: non c'erano i telefonini, è vero, e chissà dove avranno visto i due poveri tifosi la prodezza finale di Falcao, giunta ad incorniciare la sua regale prestazione e la partita più bella di quella Roma, in un palpitante e meraviglioso finale.
Il calcio d'angolo conquistato da Conti arriva all'89°, Pruzzo svetta in mezzo a due avversari e sfiora appena il pallone che finisce alle sue spalle dove il brasiliano, che vedeva il futuro in anticipo, s'era già piazzato: così addomestica il pallone col petto e dopo un rimbalzo scaraventa in porta tutta la sua ambizione, e la nostra. Siamo grandi, siamo forti, siamo pronti a scrivere pagine di storia. È l'anno di grazia 1982-83.
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