RomAntica - Le nostre parate: Julio Sergio, al derby la piazza Floccari
Con la Lazio eravamo sotto per un gol di Rocchi. Kolarov stava con loro, subì fallo in area: parata, e due reti di Vucinic
La parata più importante, nel derby più importante. Sì, è così, perché in tanti di noi il ricordo della vittoria sulla Lazio del 18 aprile 2010 è stato annacquato da ciò che accadde una settimana dopo e cioè dalla sconfitta con la Sampdoria che, si dice, costò alla Roma lo scudetto del 2010. Si dice perché in realtà ha maggior peso specifico il rigore non concesso al Siena all'ultima giornata contro l'Inter, sullo 0-0, per fallo di mano in area di Thiago Motta su cross di Rosi. Ma quella è un'altra storia. Questa è una storia quasi di filosofia zen, secondo la quale non contano il prima e il dopo, conta solo il «qui e ora». E qui e ora, il 18 aprile 2010 alle 18.30, è il derby più importante di sempre. Così lo descrivono praticamente tutti, in sede di presentazione. È la quart'ultima giornata di campionato e la Roma lotta per lo scudetto, la Lazio per la salvezza. Nulla fotografa meglio la storia e l'essenza delle due squadre come questo «qui e ora». Hic et Nunc, dicevano gli antichi romani (mica gli antichi laziali), richiamati dalla scenografia della Curva Sud con un Giulio Cesare a pollice verso. «È la storia che vi condanna», recita lo striscione sotto all'immagine con la consueta capacità di sintesi del popolo romanista. Giulio Cesare. È un presagio, sia per quanto riguarda i pollici versi, sia per quanto riguarda il nome del protagonista di quella partita. Julio sì, ma non Cesare (anche perché Julio Cesar è il portiere dell'Inter), bensì Sergio e di «Sergio» in questa storia ce ne sono due. Il primo è Julio Sergio Bertagnoli, che viene da Ribeirão Preto, stato di San Paolo, e arrivato alla Roma in silenzio nell'estate del 2006 prelevato dalla Juventude. È reduce da un infortunio, ma ha già vinto due campionati col Santos. «Sono arrivato qui per fare un provino – ha raccontato una volta – sono rimasto 22 giorni e sono andato via senza un contratto. Poi mi hanno chiamato e alla fine ho fatto sette anni e mezzo. Ho vinto una scommessa».
La rimonta
A lui è legata una delle più celebri frasi di Spalletti. «È il miglior terzo portiere del mondo». Gli altri due sono Doni e Artur, solo che a un certo punto il primo è infortunato e il secondo viene spesso fischiato dai tifosi. Così, a sorpresa, il 30 agosto 2009, proprio nel giorno dell'ultima partita della sua prima esperienza alla Roma, all'improvviso Spalletti si affida a lui. Non c'è la Juventude ma la Juventus, che vince con una doppietta di Diego, nato anche lui a Ribeirão Preto. Dopo una breve alternanza con Doni, che si fa male in una partita di Europa League, il titolare diventa lui perché nel frattempo non c'è più Spalletti ma Ranieri. Da terzo a primo, Julio Sergio. Da quindicesima a prima, la Roma. La Roma è prima in classifica il 18 aprile 2010 e Julio Sergio ne è il primo portiere. Ha anche lui i suoi meriti, nel primato, per una grande parata nel derby d'andata su Mauri e, in generale, per un rendimento senza alcuna sbavatura. Non può far nulla, però, contro Tommaso Rocchi, che prende d'infilata la difesa romanista e a metà primo tempo segna il gol che porta in vantaggio la squadra in lotta per evitare quello che sarebbe il tredicesimo dei loro 12 anni trascorsi nella serie cadetta. Sì, dodici. Il primo nella stagione 1926-27. Il primo tempo finisce 1-0 per la Lazio, Ranieri leva Totti e De Rossi. È un cambio che verrà raccontato come decisivo, come simbolo di chissà quale personalità mostrata dall'allenatore romano e romanista che aveva avuto il coraggio di mettere fuori i due romani e romanisti, e via tanti altri luoghi comuni e concetti sbagliati come la mossa stessa. Già, perché quella è stata una sostituzione psicologicamente e tecnicamente sbagliata, dato che ha ottenuto come effetto immediato della un calcio di rigore per la Lazio. Quella sostituzione, insomma, praticamente stava condannando la Roma, dato che il rigore arriva dopo un minuto per fallo di Cassetti su Kolarov, che stava dalla parte sbagliata. Cassetti sta sempre dalla parte giusta, ha deciso il derby d'andata e, chissà, forse anche quello di ritorno.
L'altro Sergio
A quel punto incontriamo l'altro Sergio di questa storia. Sergio Floccari, nato a Vibo Valentia e nazionale sanmarinese, giramondo del calcio italiano, è diventato un giocatore della Lazio il 4 gennaio 2010. La società di Lotito lo ha preso dal Genoa in prestito con diritto di riscatto, grazie ai buoni rapporti con la società di Preziosi, sconfitta dalla Lazio nella partita successiva a quella del 18 aprile 2010, quando segnerà proprio Floccari. Ma la storia delle partite tra Lazio e Genoa di quegli anni è veramente un'altra storia. Il diritto di riscatto è quello che sentono di avere tutti i tifosi laziali, prima di quella partita. Vanno a Formello e distribuiscono a tutti i giocatori le foto dell'esultanza di Totti dopo la vittoria della Roma all'andata, con i pollici versi. Chiaro, no? Si stanno giocando la salvezza, rischiano il tredicesimo anno di serie cadetta della loro storia, ma la priorità è un'altra: riscattare la sconfitta dell'andata. Quando si parla di incubi... Ma anche questa è un'altra storia. La storia racconta che Sergio Floccari è uno dei più sensibili all'adunata di Formello e profetizza: «Vi riscatteremo dell'andata, di quel pollice verso», dice. «Ci penso io», è il titolo di un giornale, con la sua foto.
Sul dischetto
Con questo spirito è lui che va sul dischetto. La Lazio sta vincendo 1-0 e, dopo un minuto dall'inizio del secondo tempo, ha il calcio di rigore per andare sul 2-0. Se non è un match-point questo... «Ci penso io», pensa lui. Pensa altro, Julio Sergio, e glielo dice in faccia. Non si può ripetere, volendo si può cercare su youtube. Lo guarda in faccia, mentre prende la rincorsa. Lui, invece, guarda il pallone. In quel momento, Julio Sergio torna ad essere quello che era all'inizio della sua avventura. «Un giorno vidi come si allenava un portiere. Tuffi, parate, un volo di qui, un altro di là. Avete presente quando un bambino resta a bocca aperta per l'emozione? Ecco, quel bambino ero io. Avevo sei-sette anni e, come tutti i bambini di quell'età, avevo sempre un pallone tra i piedi». Floccari tira alla sua sinistra e il pallone finisce proprio tra i piedi, tra le gambe, tra le mani di Julio Sergio. Lo tocca 2-3 volte prima di respingerlo definitivamente. Il tutto avviene sotto la Curva Nord, come fece Tancredi con Giordano, come fece Antonioli con Mihajlovic, come non avrà bisogno di fare Stekelenburg su Hernanes, che lo tirerà fuori. Ciò che succede da quel momento in poi è noto, ma va ricordato lo stesso, perché no, non può essere il fatto che poi quel campionato sarà vinto dall'Inter a causa di un rigore non dato al Siena all'ultima giornata a sporcare il ricordo di quella partita. Partita che cambia in quell'istante. La Roma tesa e impaurita del primo tempo sparisce e domina un avversario nettamente inferiore. Kolarov farà un altro rigore, ma stavolta per fallo su Taddei, rigore per la Roma concede l'arbitro Tagliavento. Lo segna Vucinic, che poi segnerà anche su calcio di punizione, ribaltando tutto. La Roma vincerà 2-1 e Totti tornerà a fare i pollici versi, imitando Giulio Cesare (che a sua volta però imitava lui) e grazie a Julio Sergio (Floccari). I laziali la useranno come scusa per giustificare il loro comportamento durante Lazio-Inter, quando tiferanno contro la loro squadra. Chissà, forse qualcuno di loro ci crede veramente al fatto che se Totti non avesse fatto i pollici versi, invece, avrebbero tifato per la Lazio. No, non lo avrebbero fatto comunque, perché, come dimostravano anche le scene a Formello prima di quella partita decisiva per la salvezza (poi ottenuta comunque anche grazie alla vittoria sul Genoa), la priorità era battere la Roma.
Eterna sconfitta
Roma, alla fine, è sempre il nome più importante. Simbolo dell'eterna sconfitta di chi non può averlo e non lo avrà mai. Anche più importante del nome chiave di questa storia, che è sempre Sergio. Trae origine dal gentilizio latino Sergius, che, dal latino servare, cioè «custodire», significa proprio «guardiano». E, capirete, è un nome molto più adatto a un portiere che a un attaccante. Il guardiano dei derby, però, è anche un altro, soprattutto in quella stagione. Marco Cassetti. Colui che, commettendo fallo su Kolarov, ha provocato quel rigore. Colui che, sì, si può dire: dopo aver deciso il derby d'andata, ha deciso anche quello di ritorno. Perché la partita non è certo cambiata a causa delle sostituzioni di Totti e De Rossi, ma è cambiata grazie alla parata di Julio Sergio (Floccari).
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