E dalla Sud partì "quel" coro
Roma-Bayern Monaco, 20 marzo 1985, ritorno dei quarti di finale di Coppa delle Coppe
Il 6 marzo 1985 la gara d'andata dei quarti di finale di Coppa delle Coppe si era conclusa per alcuni dei tanti tifosi della Roma accorsi a Monaco al numero 9 di Am Platz, all'Hofbräuhaus, una birreria in cui, come spiega accalorata la guida, nei primi anni Venti teneva i suoi discorsi Adolf Hitler.
La guida viene mandata all'inferno, assieme a Hitler, i tifosi della Roma vogliono solo smaltire in pace la delusione di una serata maledetta. I padroni di casa erano passati in vantaggio sul finire del primo tempo con una botta devastante di Augenthaler partita anche quella dalla birreria dell'Am Platz. Una traiettoria incredibile, con la palla che non si abbassa e non si alza e s'incastra esattamente all'incrocio dei pali. Nella ripresa Tancredi compie una delle più belle parate della sua carriera; Wohlfarth colpisce di testa dentro l'area piccola e il portiere giallo-rosso con uno scatto di reni impressionante salva la sua porta. Sembra il segnale del vento che cambia, Iorio semina il panico sulla fascia destra e mette al centro, dove Pruzzo inventa un "barbatrucco" e di testa indirizza verso l'angolo più lontano della porta difesa da Pfaff.
Di quanto esce quel pallone? Due, tre centimetri? Ma poi è uscito per davvero? Ancora non m capacito. Fatto sta che sul finire della ripresa i tedeschi trovano il raddoppio. Nela non acciuffa di testa un traversone e quella "mummia" di Hoeness si ritrova da solo davanti a Tancredi, lo salta e chiude i conti sul 2-0. L'Abendzeitung, quotidiano bavarese, la mattina seguente commenterà con la proverbiale fantasia teutonica: «Arrivederci Roma!». Che fenomeni i tedeschi… ma i romanisti sono convinti di potercela fare.
In Europa, all'Olimpico, la Lupa è imbattuta da due anni e più di una volta avversari baldanzosi sono ritornati a casa propria con tre pallini sulle spalle. Sarebbe fantastico far ingoiare al Bayern il solito pastone fatto di "italiani, pizza, mandolino e canzoni". Dino Viola, dal canto suo, è furibondo, dice di voler portare la squadra al Divino Amore perché in quella stagione non ne sta andando una dritta. Eriksson si limita ad osservare che arrendersi proprio adesso non avrebbe senso. Nei giorni immediatamente seguenti al match con il Bayern, nella capitale si consumano le polemiche per le scelte di Eriksson che ha deciso di utilizzare Di Carlo e Chierico. Ci si rallegra, però, del fatto che per il ritorno sarà disponibile Bruno Conti. Il fuoriclasse di Nettuno è tra i più temuti dai tedeschi che non hanno dimenticato la prestazione sontuosa fornita dall'attaccante della Roma nella finale mondiale del 1982, quando le sue scorrerie mandarono letteralmente in tilt i meccanismi difensivi della propria nazionale.
Nel campo avverso il Bayern fa pretattica, ma traspare la certezza di aver ormai superato il turno. Si arriva così al 20 marzo, il giorno in cui tutti sperano che la "grande Roma" risorga. Ma il 20 marzo nella storia di Roma non è il giorno della resurrezione, ma quello dei funerali di Gulio Cesare. Shakespeare immagina che Antonio in questa giornata ne abbia pronunciato l'elogio: «Tutti l'amavate un tempo, e con motivo; che motivo vi trattiene allora dal piangerlo? (…) Perdonatemi. Il mio cuore è nella bara lì con Cesare. E debbo fermarmi finché non mi ritorna».
Beh, il 20 marzo 1985 non c'è da seppellire Cesare, ma la parte più esaltante del ciclo di una certa Roma, sì. I nostri comunque partono bene, tenendo il campo in maniera splendida. Si tratta però solo di un'illusione. Al 33', dopo che Iorio si è divorato un gol già fatto, Mathy, con un lancio dalla tre quarti, viene liberato al tiro. Tancredi lo falcia senza pietà e Matthaus, che ha appena iniziato a romperci le scatole, mette in rete la palla dell'1-0. Il pareggio di Nela e il raddoppio di Kogl, sono delle note a margine. Quello che è importante è che al 20' del secondo tempo, mentre da tutti i settori dello stadio piovono i fischi, la Curva Sud scrive il suo personalissimo "monologo di Antonio", destinato come il Giulio Cesare del grande bardo, ad essere tramandato di padre in figlio: «Che sarà sarà, noi sempre ti sosterrem, ovunque ti seguirem che sarà sarà» tutta la Curva Sud è un mare di sciarpe, giallo-rosse che cullano quel canto che è un atto di fede, al di là della vittoria o della sconfitta, oltre ciò che è sbagliato e giusto. A guardia di una fede, costi quel che costi, il cuore dei tifosi è con la Roma, piange la sua sconfitta e aspetta la rivincita. Al termine della gara i giocatori della Roma sfilano sotto la Sud applaudendo.
Lo spettacolo oggi lo ha offerto la Curva, le due squadre hanno solo presenziato e a rigor di logica dovrebbero pagare il biglietto. I giocatori del Bayern, che non a caso hanno sul petto lo sponsor dei computer Commodore, sembrano un videogame andato in tilt. Hanno vinto la partita, ma escono ammutoliti, incantati da quella dimostrazione fideistica. Lerby negli spogliatoi dichiarerà: «È stata una cosa entusiasmante, lo spettacolo di folla più bello, più vero che abbia mai visto. Non lo scorderò mai. Sono gli Italiani i veri grandi tifosi di calcio, e sono davvero orgoglioso di avere giocato e vinto davanti alla gente di Roma. Mi hanno commosso. Invidio i giocatori della Roma per questo».
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