Gol vecchio di Zecca
La Juve era prima, non l’avevamo mai battuta nel Dopoguerra, noi terzultimi. Vinciamo con la rete di Adriano Zecca che un giorno sceneggerà il Borgorosso Football Club

Al fischio finale avviene una scena indescrivibile. Il pubblico variopinto per la foggia dei berretti dai colori sociali messi in mostra, aveva incitato la propria squadra a perdifiato e fatto, specie in sul finire, un tifo da non si dire. Ora si sfoga…
Vittorio Pozzo, «La Stampa Sera», 2 maggio 1950, p. 4.
La Juventus della stagione 1949/50 è la squadra del momento. Arriva a Roma alla fine dell’aprile 1950 avviandosi a tagliare il traguardo del suo ottavo scudetto. Se ha conosciuto battute d’arresto, quelle sono paradossalmente arrivate sul terreno amico (compreso il clamoroso e umiliante 1-7 contro il Milan di Liedholm, il 5 febbraio 1950, nel corso della prima diretta televisiva della storia del calcio italiano).
Lontano dal Piemonte, gli uomini di Carver hanno ottenuto 12 vittorie e 4 pareggi. A questo si aggiunga che nel Dopoguerra, nelle otto gare di campionato in cui le due squadre si erano affrontate, la Roma aveva raccolto sei sconfitte e due pareggi (uno esterno e uno interno). La premessa è indispensabile per capire quale fosse il livello di difficoltà della prova affrontata dai giallorossi, terzultimi a pari merito con Pro Patria e Bari, con un punto di vantaggio sul Novara, che gli uomini di Bernardini dovevano affrontare nella penultima giornata di campionato.
La settimana di vigilia della Lupa era stata da tregenda. I tifosi avevano negli occhi le immagini drammatiche della sconfitta interna con il Como, resa ancora più amara dal calcio di rigore che il generoso Andreoli aveva battuto stampando la palla sul palo destro della porta di Cardani al 45’ della ripresa. Nel punto esatto in cui la palla aveva picchiato, era rimasta l’orma di fango lasciata dal pallone e c’era – come annotava il «Corriere dello Sport» – «sugli spalti, il più desolato dei silenzi. Il pubblico è ammutolito, gelido, impietrito».
Smaltito lo choc, era stato convocato, in tutta fretta, il Consiglio Direttivo del Club. All’ordine del giorno, l’esonero di Fulvio Bernardini. La squadra, per una commovente iniziativa di Maestrelli e Andreoli, si era schierata dalla parte del tecnico. Titolari e riserve si erano dati appuntamento a Via del Tritone, un’ora prima dell’inizio del Consiglio, ottenendo di parlare con il vicepresidente Evandro Meloni, a cui avevano confermato di essere tutti dalla parte di “Fuffo”.
Le quattro ore di tempestosa riunione avevano alla fine partorito un ibrido, specchio della confusione: Bernardini veniva confermato ma non più con pieni poteri. La sua guida tecnica era messa sotto tutela da un Direttorio presieduto dallo stesso Meloni. Mentre circolavano voci, confermate dall’interessato, di un contatto tra la Roma e Gipo Viani, la squadra, nel ritiro di Fregene, si era invece compattata ancora di più attorno al suo Mister. La Juventus arriva a Ostia nella mattinata del 29 aprile con 14 giocatori, mentre i Lupi raggiungono lo Stadio Nazionale solo alle 14:00 del giorno della gara. L’inizio decide tutto. Dopo 4’, in seguito a un calcio d’angolo battuto da Merlin, la palla schizza fuori e innesca una prima conclusione di Dell’Innocenti ribattuta dal mucchio che affolla l’area. Sul rimbalzo giunge Zecca, il resto lo racconta Vittorio Pozzo sulle pagine de «La Stampa»:
Al momento in cui mette i piedi in area smorza col petto e tira subito forte di destro. Dal basso in alto, la palla va irresistibilmente a insaccarsi nell’angolo della rete sulla sinistra di Viola. Il portiere, a visuale coperta in partenza, è scattato in lieve ritardo ma il tiro può essere classificato fra i difficilissimi da parare.Passati in vantaggio, i giallorossi si difendono bene, ma l’urto bianconero produce almeno due occasioni colossali.
Prima è Hansen a centrare il palo, quindi a dieci minuti dal riposo Martino viene via e si presenta davanti a Risorti. La mezz’ala con una finta lo mette a terra, ma quando sta per aggirarlo per recuperare la sfera e mettere in rete, il portiere romanista con una formidabile mossa d’istinto devia la sfera con il piede, quel tanto che basta per sventare la minaccia. «Il Calcio Illustrato» osserva: «La Roma una volta tanto non si era messa a tavolino (…) l’unica tattica il cuore, le uniche armi, la volontà».
Si va avanti così, con la Lupa che rimane di fatto in nove (per lo stato di Pesaola, malconcio dopo un urto con Bertuccelli, e per lo strappo che, in seguito a una rovesciata, mette fuori uso Contin), fino al triplice fischio finale. A fine gara, l’immagine-simbolo è forse quella di un Contin, sfiancato, che a stento trova la forza di alzare le braccia al cielo in segno di vittoria, mentre alle sue spalle Maestrelli, sofferente e con una benda che gli avvolge il capo, è sorretto da un raggiante Vincenzo Biancone.
La Roma si salva, l’anno dopo non lo farà, ma Zecca segnerà tanto per riportala in serie A. Un giorno scriverà la sceneggiature di un film: Il Borgorosso Football Club, con Alberto Sordi.
(Tratto da “Le cento partite che hanno fatto la storia dell’As Roma”. Newton Compton)
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