RomAntica

Lode a te Roberto Pruzzo

Il 9 per sempre della nostra storia compie 70 anni: ha segnato letteralmente i più belli della nostra vita

(AS ROMA)

PUBBLICATO DA Tonino Cagnucci
01 Aprile 2025 - 07:00

Se io fossi un angelo vorrei essere Roberto Pruzzo. Quello sembrava in quella notte scura con quella maglia bianca quando ha segnato l’1-1 al Liverpool. Un minuto prima di andare nello spogliatoio come a dire l’emozione è troppa. In quella notte è stato forse l’unico momento in cui abbiamo creduto di poter vincere la Coppa, prima del silenzio

Lui dopo aver segnato in una finale di Coppa dei Campioni non ha potuto tirare uno dei rigori. Lui che aveva lasciato al suo Capitano col Dundee il rigore del 3-0 per arrivare fin lì. Un assist senza passaggio. Ieri al Messaggero Roberto Pruzzo, il numero 9 per sempre per ogni tifoso romanista (credo che questo sia scientifico), ha parlato di Agostino dicendo che lui, rispetto a Di Bartolomei, è stato solo più fortunato perché anche lui ha attraversato le tenebre. 

Ho sempre detto che Agostino dopo il rigore realizzato in finale a Grobbelaar ci ha portato nel punto più alto nella nostra storia, plasticamente raggiunto con un suo (raro) salto di esultanza dopo il gol, facendoci per 55 secondi campioni d’Europa. Ora realizzo che Roberto Pruzzo con quel colpo di testa, con un altro balzo, ha fatto un assist senza passaggio e senza tempo al suo Capitano permettendogli di tirare anche quel calcio di rigore. D’altronde erano vicini anche come numeri, il  Bomber il 9, Ago il 10. Vicini anche perché non sprecavano parole

Dibba parlava coi silenzi, Pruzzo con il brusio di un eterno innocuo lamento (ce l’aveva con tutti: avversari, arbitri, compagni, se stesso) e con i gol. Come a rispecchiare il suo carattere chiuso, burbero, senza ciance, da genovese, per raccontare la poesia romanista di Roberto Pruzzo più che le parole servono i tabellini. La sua poesia romanista sta lì, alla voce marcatori. Marcatore: Roberto Pruzzo, il 9.

Ha segnato per salvarci dalla serie B contro l’Atalanta nell’ultima partita prima di consegnare la Roma a Viola, cioè all’eternità, ha segnato a Genova nella partita scudetto un gol che generazioni di romanisti aspettavano da 41 anni, ha segnato nel derby più bello (quello del “Ti Amo”) correndo sotto la Sud dopo il 2-0, correndo potente, libero e felice come sempre quando segnava (solo il gol lo faceva sorridere), ha segnato una doppietta in semifinale di Coppa dei Campioni contro il Dundee, ha segnato a Milano contro il Milan, a Milano contro l’Inter per vittorie storiche e attese anni, ha segnato al Torino col Toro il gol che ci faceva campioni d’inverno, e a Torino alla Juventus con lo Scudetto sul petto in rovesciata all’ultimo minuto dopo che Chierico dalla Garbatella ha fatto il sombrero, una virgola, sulla testa di Le Roi Platini. Lui era O’Rey di Crocefischi. Lui era e resterà per sempre il Bomber

Ha vinto tre volte la classifica dei marcatori, ma non gli hanno mai veramente dato la Nazionale, ha segnato in Coppa Italia (20 volte su 48 partite), in Coppa Uefa (3 in 7), in Coppa Coppe (4 in 13), e 106 volte (grazie) in campionato, oltre quel gol fatto il 30 maggio 1984 nel tentativo di girare la partita, la storia, la vita

Roberto Pruzzo ha segnato il suo primo gol in A col Genoa alla Roma e il suo ultimo gol in carriera con la Fiorentina alla Roma, come a dire che fuori da quelle parentesi non c’è niente, e nel mezzo della sua vita c’è solo la Roma. C’erano ragazzini che sognavano di chiamarsi Pruzzo (ce n’è uno che oggi sta al Governo). La poesia di Roberto Pruzzo sta in un tabellino ma è certo difficile confinarla lì, difficile raccontare che significava per noi. Forse per questo i tifosi della Roma in Curva Sud cantavano “Lode a te Roberto Pruzzo” come se quello che si diceva su di lui non bastasse a rendergli giustizia (cosa che sicuramente non ha fatto Bearzot nel 1982).

Per raccontare Roberto Pruzzo più che i tabellini, bisogna raccontare la storia di un uomo che non amava parlare e che nascondeva il cuore, ma che un giorno lo ha messo a nudo come mai aveva fatto nessun altro: togliendosi - per la prima volta in uno stadio di calcio - la maglietta dopo un gol alla Juve, per darla alla sua Curva, alla sua gente,  che non aveva bisogno di parole ma che aveva un angelo come marcatore. Era come a dire: è vostra. Sei nostro. Sarà per questo che la sua ultima partita con la Roma, Roberto Pruzzo nello stesso giorno in cui iniziarono ad abbattere proprio la Sud di marmo bianco per costruire lo stadio di plastica per Italia 90. Credo che facendo i lavori ci abbiano trovato quella maglia e in fondo credo che lì Roberto avesse sempre nascosto il suo cuore. Là, sotto la Curva dove correva ogni volta per andarselo a riprendere, solo per poterglielo ridare.  

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