Tor di Valle non si tocca: ecco perché Friedkin manterrà il progetto attuale
Sono tante le ragioni per cui il magnate statunitense non cambierà strategia sul nuovo stadio. Proseguono le trattative con Pallotta
Continuano febbrili le trattative per trasferire il pacchetto di maggioranza della Roma dalle mani di James Pallotta a quelle di Dan Friedkin. Gli uomini incaricati di condurre l'operazione continuano ad aggiornarsi costantemente, segno questo che si vuole chiudere e lo si vuole fare al più presto. Non trovano invece conferma le voci diffusesi nella città ieri mattina circa la volontà del magnate di Houston di abbandonare il progetto Tor di Valle per affrontare un'avventura ex novo per dotarsi di un impianto di proprietà.
Questo non significa che gli uomini di Friedkin non abbiano avviato una serie di contatti con costruttori romani e italiani, ma che queste perlustrazioni hanno altre ragioni di fondo. E veniamo allora al sodo. Il progetto Tor di Valle non è mai stato così vicino alla conclusione positiva del suo travagliatissimo iter amministrativo. Non a caso su questo punto divergono le valutazioni delle due parti sull'acquisto del club: da una parte il manager di Boston vorrebbe considerare il progetto come concluso e (quasi) approvato per definire il valore della Roma, dall'altra l'imprenditore texano vorrebbe accantonare (momentaneamente) il progetto. Sempre e solo nella valutazione economica della società. Friedkin sa perfettamente che ripartire da zero significherebbe nella migliore delle ipotesi impiegare altri cinque o sei anni per vedere la posa della prima pietra. Troppo, a meno di non acquistare il club a prezzo di svendita. Cosa da escludere del tutto. In secondo luogo un cambio drastico sul progetto che ha visto impegnata in prima persona la sindaca Virginia Raggi che, come scritto più volte, sull'affaire stadio si gioca quel che resta della sua credibilità politica, significherebbe partire con l'avventura romana mettendosi di traverso alle istituzioni capitoline. Una mossa, sul piano strategico, del tutto incomprensibile. Inoltre il fatto che il presidente James Pallotta manterrebbe una quota di minoranza del club sta a dimostrare proprio come questo non intenda dismettere completamente i propri investimenti nella Capitale, anzi.
Del resto il gruppo Friedkin non dovrebbe acquistare direttamente il club, ma la controllante As Roma PLV LLC, società con sede nel Delaware costituita da Pallotta e dagli altri soci americani che possiede l'86% del capitale della società, e che soprattutto possiede anche Stadio TDV Spa e TDV Real Estate, i due veicoli attraverso cui verrà realizzato lo stadio. Ed allora perché Friedkin avrebbe incontrato dei costruttori romani? Semplicemente per comprendere come procedere alla costruzione dell'impianto una volta terminato l'iter amministrativo. Infatti a differenza di Pallotta, che è un investitore puro, il gruppo Friedkin avrebbe interessi diretti nell'area dove sorgerà il nuovo impianto giallorosso. Il gruppo texano non si distingue solo nell'atuomotive, ma spazia i propri investimenti anche in altri settori, soprattutto quello alberghiero e quello dell'intrattenimento. Due settori che avrebbero importanti sviluppi intorno allo stadio. Fatto questo che porterebbe il gruppo di Houston ad investire direttamente, senza avvalersi di finanziatori a supporto, con la sola necessità di identificare chi dovrà realizzare materialmente il progetto. La verità è che la presenza di Dan Friedkin, della sua famiglia e del suo impero, rappresenta una possibile svolta anche e soprattutto per i destini di Tor di Valle.
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