La storia infinita di quelli che non vogliono lo stadio della Roma

Rischi idrogeologici, costi a carico del Comune, priorità non rispettate. Sono le argomentazioni riportate da un articolo di Repubblica, di 32 anni fa: nulla è cambiato

PUBBLICATO DA Andrea De Angelis
29 Marzo 2019 - 12:48

Quello che segue non è un articolo scritto oggi o in questo mese. E nemmeno in questo anno. O ancora nemmeno in questo millennio. Quello che segue è un articolo uscito su La Repubblica il 3 febbraio del 1987, alla vigilia di un appuntamento che avrebbe potuto cambiare la storia della Roma, e quasi certamente anche di Roma. Un articolo firmato da un illustre giornalista, ambientalista e politico italiano come Antonio Cederna (consigliere comunale di Roma dal 1958 al 1961 e poi ancora una vita dopo, dal 1989 al 1993, nonché deputato della Sinistra Indipendente dall'87 al 92). Fratello di Camilla Cederna, tra i fondatori di Italia Nostra, è morto 23 anni fa. Ma viene citato spesso dagli oppositori allo stadio della Roma, come l'ex assessore all'urbanistica Paolo Berdini. A volte, si ha l'impressione leggendo questo pezzo, con le stesse parole.

"Domani la giunta capitolina decide se fare o meno il Maracanà romano, il nuovo stadio dei centomila per la finale dei campionati del mondo di calcio del 1990. Come vuole la tradizione dell'urbanistica romana (e italiana) si tratta di un'opera sbagliata nel posto sbagliato, progettata in nome della solita emergenza di turno. Sono presenti tutte le premesse che sono all'origine di tutte le attuali malformazioni di Roma. Primo. Lo stadio non viene localizzato in base a un qualche programma di pianificazione, ma in base alla [...] proprietà fondiaria: lo si vuol fare in quel posto, in località Magliana Vecchia, in un'ansa del Tevere tra la città e l'aeroporto di Fiumicino, perché quei terreni interessano personaggi dell'Associazione Sportiva Roma e i grossi gruppi finanziari che le stanno dietro […]. Secondo: […] il nuovo stadio dei centomila diventerà una cattedrale nel deserto […]. Terzo. Lo stadio viene presentato dal suo gran promotore, il presidente della Roma Dino Viola, come un regalo, a costo zero per la città. In realtà, tutte le grandi speculazioni romane dei decenni passati sono avvenute così. […] Quarto. È sempre Pantalone che paga. Non sarà solo uno stadio ma una città dello sport con negozi, sedi di società, uffici, centri commerciali eccetera, per circa 200 ettari. Si calcolano in tre-quattrocento miliardi almeno le spese che Comune, Stato eccetera dovrebbero spendere per adeguare strade e autostrade esistenti, ferrovie, costruire un ponte sul Tevere e via dicendo. Quinto. Lo stadio viola le destinazioni di piano regolatore […]. Sesto. Il nuovo stadio, con tutto quello che si tira dietro, viene collocato nel settore sud-occidentale della città, tra Roma e il mare, cioè nella direzione esattamente opposta a quella in cui il piano regolatore prevede il più consistente sviluppo urbano, cioè il settore orientale. […] Adesso si darebbe il via al saldamento Roma-mare, e quindi, come osserva la sezione romana di Italia Nostra, alla definitiva compromissione del parco del Tevere e del parco del litorale […]. Questo per quanto riguarda la questione di fondo, urbanistica […]: per il resto, chiunque può fare un elenco delle vere priorità per Roma, per un ragionevole impiego dei fondi necessari a sollevarla dallo squallore attuale. Mancanza di verde e degli impianti sportivi di base, inquinamento che sfarina in gesso i monumenti, novecento edifici pericolanti […], ottantamila famiglie in attesa di un alloggio pubblico […], insigni collezioni di antichità chiuse in casse che girovagano negli scantinati […], l'Appia Antica ridotta a uno scarico di immondizie. Non si deve infine dimenticare quello che più ci distanzia dagli altri paesi europei: la mancanza di una politica fondiaria che consenta di costituire ampi demani di aree dove indirizzare gli sviluppi; una mancanza che ci obbliga sempre a scegliere dal mazzo la carta cioè i terreni voluti dalla speculazione. […] Ma son cose che non interessano i politici e gli amministratori italiani".

Progetto bocciato

Il 4 febbraio del 1987 l'Assemblea Comunale purtroppo decise, sovvertendo il pronostico della vigilia ed avviando la giunta ad una crisi da cui sarebbe uscita molto dopo, anche e soprattutto grazie alla pressione esercitata da Repubblica, da altri mezzi di informazione e dal Coni allora guidato da Arrigo Gattai, di bocciare quel progetto, optando per la ristrutturazione del vecchio Stadio Olimpico. Cosa sia stata Italia 90 dal punto di vista immobiliare per il nostro Paese purtroppo ce lo può spiegare bene la magistratura. Una delle più grandi speculazioni della nostra storia, che negli anni ha visto numerosi indagati, altrettanti condannati, stadi fatiscenti, in alcuni casi già demoliti. Da allora sono passati 32 anni. Invano, sembrerebbe

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