Marino: "Il progetto di Tor di Valle era valido, ma Roma allontana gli investitori"
L'ex sindaco della Capitale è tornato a parlare dello stadio voluto da James Pallotta, mai costruito a causa di una serie di problematiche politiche e burocratiche
Intervistato in esclusiva da Sporteconomy, l'ex sindaco di Roma Ignazio Marino, in carica dal 2013 al 2015, ha detto la sua sulla travagliata vicenda dell'ormai accantonato progetto dello stadio della Roma, impianto la cui progrettazione entrò nel vivo durante la presidenza di James Pallotta e che sarebbe dovuto sorgere a Tor di Valle. Di seguito alcuni estratti dell'intervista.
Prof. Marino, tornando alla sua esperienza come sindaco di “Roma Capitale”, a posteriori, perché a Roma è così difficile costruire uno stadio di proprietà?
Ripensare la città significa anche renderla attraente ai capitali privati stranieri, che possono essere utilizzati per sviluppare nuove infrastrutture e servizi. Una strategia che porta con sé anche nuove opportunità di lavoro – oggi così necessario a Roma e in Italia. In questa prospettiva, nel 2014, ho immediatamente ascoltato il Presidente della società calcistica AS Roma, James Pallotta, quando mi disse di voler realizzare il nuovo stadio di proprietà della squadra. Si trattava del più consistente investimento privato nella Capitale, pari a oltre 1,2 miliardi di euro. Di questi, pretendemmo che 320 milioni fossero destinati alla realizzazione d’importanti opere infrastrutturali per la città. Le altre risorse erano destinate alla costruzione di un “business district” disegnato da uno dei principali esponenti mondiali del decostruttivismo, l’architetto Daniel Libeskind, lo stesso che con il suo progetto aveva vinto precedentemente la competizione internazionale per ridisegnare “Ground Zero” a Manhattan, dopo la distruzione delle Torri Gemelle del World Trade Center, l’11 settembre 2001. Il suo progetto, elegantissimo, si articolava su un’elaborazione grafica dei “conci”, i blocchi di pietra delle costruzioni romane, e riprendeva un disegno di Giovanni Battista Piranesi, che Libeskind riuscì a scomporre in 3 torri che intendevano richiamare i materiali delle origini storiche dell’antica Roma.
In un certo momento del suo mandato sembrava che filasse tutto liscio, relativamente a questo progetto, poi cosa è successo?
Nell’autunno 2014 subì ritardi dovuti alla lentezza decisionale dei partiti politici, soprattutto del Partito Democratico. Con l’assessore all’Urbanistica, Giovanni Caudo, indicammo subito che volevamo che oltre la metà dei 60mila spettatori previsti (in termini di capienza, nda) potesse raggiungere lo stadio con mezzi su rotaia, metro o treno, in modo da evitare il caos automobilistico che si crea a Roma ogni volta che vi è una partita allo stadio Olimpico, privo di una rete di trasporto su rotaia. A inizio settembre 2014 riunii la Giunta per votare il progetto e sottoporlo al voto del Consiglio Comunale. Il giorno dopo al voto della Giunta non solo le opposizioni, ma anche diversi esponenti della maggioranza, in particolare del Partito Democratico, iniziarono a esprimere dubbi e opinioni contrastanti sia sull’idea dello stadio privato della AS Roma, sia sul luogo dove sarebbe dovuto sorgere. Il presunto rischio idrogeologico divenne il “mantra” attorno al quale il progetto fu avvolto dai media ed è stato inutile ripetere che l’unica autorità preposta, l’Autorità di bacino del Tevere, aveva escluso ogni rischio di tale natura. Ma il percorso non si annunciava così semplice: riunione dopo riunione, Mirko Coratti, presidente dell’allora Consiglio Comunale, annunciava di portare il tema dello stadio al voto, ma c’era sempre qualche cosa che bloccava l’iter. Chissà quali discussioni avvenivano fuori dall’Aula. La dichiarazione di pubblico interesse sul progetto venne votata poi il 22 dicembre 2014.
Quello che è successo all’ex presidente Pallotta, ovvero di investire milioni di euro non arrivando mai a vedere la nascita dello stadio, non è stato, alla fine, secondo lei, un autogol per l’intero tessuto socio-economico di Roma.?
James Pallotta, che aveva già avviato il lavoro per il progetto esecutivo (in cui investì suoi fondi per decine di milioni di euro), coinvolgendo anche partner internazionali come la banca d’investimento Goldman Sachs, era molto allarmato per i ritardi incomprensibili. Per questo mi chiese un nuovo incontro che avvenne l’11 settembre 2014. In quell’occasione mi mostrò, commentandole, una serie di traduzioni in inglese di articoli di stampa italiani che riferivano l’ostilità del Partito Democratico. [...] Gli spiegai che molti politici italiani avrebbero detto qualunque cosa per ottenere una piccola foto e un’intervista di poche righe sulla cronaca locale di un quotidiano e che, nella maggior parte dei casi, non avevano studiato la documentazione tecnica del progetto. Confermai il mio impegno di completare la valutazione del progetto da parte del Consiglio Comunale entro 10-12 settimane. Tre mesi dopo, fatto quest’ultimo passo, con il voto in Campidoglio del 22 dicembre 2014, trasferii immediatamente tutto il materiale alla Regione Lazio per le valutazioni necessarie. Dieci mesi dopo, il 31 ottobre del 2015, al momento del mio allontanamento con le famose dimissioni dei consiglieri del PD dal notaio, la Regione Lazio non aveva ancora neanche convocato la conferenza dei servizi per valutare la documentazione dello stadio. L’incertezza amministrativa è la peggiore condizione per gli investitori privati, soprattutto per chi investe dall’estero. Se il trascorrere del tempo non viene considerato una variabile importante si rischia di allontanare gli investitori che non si avvicinano a Roma, considerata un contesto amministrativo inaffidabile, governato da logiche non da libero mercato competitivo ma che ricordano quelle dei feudi e dei feudatari che sembrano tanto più forti quanto più piccolo e chiuso resta il feudo.
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