Enrico Mantovani: "Roma, fai lo Stadio. Schick? Magari tornasse alla Samp"

L’ex presidente dei blucerchiati: "Favorevole alle proprietà straniere. Servono gli impianti: l'Olimpico non fa per il calcio, è come un ristorante vicino a una fogna"

PUBBLICATO DA Gabriele Fasan
10 Novembre 2018 - 09:28

Ha sempre la tessera della Samp, di cui è rimasto tifosissimo, Enrico Mantovani, ex presidente del club blucerchiato dal dicembre 1993, quando subentrò dopo la scomparsa del padre Paolo, fino al 2000. Alla famiglia Mantovani la Samp deve gran parte della sua bacheca e i risultati più prestigiosi della sua storia. Tre coppe Italia, una Coppa delle Coppe e uno scudetto, con la finale di Coppa Campioni persa l'anno dopo. «Della presidenza di mio padre, il momento più bello è stato sicuramente la vittoria della prima Coppa Italia, a Genova contro il Milan, perché ha aperto un ciclo. Della mia presidenza sempre la vittoria di una Coppa Italia, ero da pochissimo presidente, fui il più giovane a vincerla, con una squadra creata da lui, ci fu una grande soddisfazione perché c'era continuità».

Un calcio che non c'è più

Ma la famiglia Mantovani è anche emblema di un calcio che non c'è più: «Si può dire che ogni generazione non ha più il calcio di una volta, c'è stato il calcio di Rivera, Mazzola, Riva, poi di Bonisegna. È l'evoluzione. Quando ero piccolo avevo tre canali televisivi, ora possiamo guardare le partite sui cellulari. Nel calcio però notiamo troppo spesso solo i cambiamenti negativi, ma ci sono anche quelli positivi». Sì, perché Enrico Mantovani, che all'epoca veniva descritto sui giornali come «il presidente col computer, mentre adesso sarebbe una notizia il contrario», fu tra i primi a parlare di tecnologia applicata al calcio. E con la tecnologia, forse, la sua Samp avrebbe vinto anche qualcosa in più: «Probabile, è assurdo ma il calcio è trent'anni in ritardo su un elemento necessario a rendere tutto più sportivo, perché è un peccato che una squadra possa vincere una partita in maniera irregolare, perché l'arbitro è un essere umano e può sbagliare. All'epoca mia sulla tecnologia c'era un blocco totale. E confesso che nonostante sia spesso critico verso il governo del calcio, sono stato positivamente colpito dal fatto che siamo stati i primi a pensare ad introdurla, sono rimasto spiazzato. Ora bisogna abituarsi, come i portieri si sono abituati al passaggio indietro. Presto sapremo gestirla meglio».

Fair Play Finanziario e gli Stadi

Non solo Var, ma anche Fair play finanziario, perché Enrico Mantovani parlò tra i primi anche di "doping amministrativo": «Trovo giusto il fair play, nonostante sia perfezionabile la sua applicazione. Bisogna riuscire a vivere sfruttando i propri mezzi. Ovviamente come Sampdoria, ai tempi di mio padre, avremmo avuto difficoltà a vincere tutto quello che abbiamo vinto senza quello che oggi sarebbe identificato come un "doping finanziario", perché ci fu la forza economica di un imprenditore che aveva deciso di vincere, facendo enormi investimenti. Mio padre diceva sempre: "La Samp è una tribù di Watussi che però ha un tetto alto un metro e cinquanta e un giorno torneremo a vivere a quell'altezza". L'obiettivo dovrebbe essere alzare questo tetto, che un tempo era rappresentato dal numero di spettatori che avevi allo stadio, mentre ora si guarda di più al prodotto televisivo». Ma se si vogliono fare le cose perbene, va fatto senza tradire l'essenza del calcio, che è il suo palcoscenico, cioè lo stadio: «In Premier League hanno creato un prodotto calcio notevole, in Germania anche. E le seconde divisioni fanno più o meno gli spettatori che fa la Serie A. Il problema è che noi non abbiamo gli impianti. Lo Juventus Stadium è stato per anni l'unico stadio di proprietà. Ogni singola squadra inglese o tedesca ha il proprio stadio. Come si fa a giocare all'Olimpico? Ci puoi essere anche affezionato, ma una partita di calcio con la pista d'atletica intorno è come andare a un ristorante vicino a una fogna: il calcio devi vederlo. Poi ci sorprendiamo se la gente rimane a casa... Lo Stadio della Roma è un'altra cosa italiana, unica, pazzesca. Perché c'è sempre chi si mette di traverso per cercare di impedire e lucrare, diventa un discorso politico».

Proprietà straniere e proprietà italiane

Mantovani, Viola, Sensi da una parte e le nuove proprietà straniere dall'altro: «Le proprietà straniere sono il bene assoluto. Nella nostra Lega i presidenti erano così tifosi che non si pensava al bene del prodotto calcio per renderlo sostenibile, ma era una battaglia contro il tuo nemico di quel momento, non si riusciva a costruire un progetto a lungo raggio, che prendesse anche decisioni dolorose all'inizio, come ridurre il numero di squadre. Ci sono cose che vanno fatte, altrimenti ci si trascina un problema». Proprietà straniere che possono benissimo conciliare l'esigenza di ammodernamento della struttura con la tradizione e l'appartenenza: «Basta guardare la Roma: Totti, De Rossi, Florenzi, Pellegrini. Grandi squadre del calcio internazionale hanno proprietà straniere e grande tradizione, che è un elemento importantissimo, all'interno. Nella mia idea di calcio il presidente deve avere meno importanza: i tifosi dell'Arsenal non sanno nemmeno chi è, se lo incontrano per strada. Per la passione della gente ci sono lo stadio, che è come casa propria, l'allenatore, i giocatori. Il presidente è una figura che non c'è quasi più, dà indicazioni, fornisce finanziamenti. Proprio come fa Pallotta, che è venuto in Italia sapendo che sarebbe stata dura, ma anche che è una grande opportunità». E non è mancanza di poesia, è evoluzione: «Trent'anni fa non c'era bisogno delle proprietà straniere, oggi è anacronistico sperare di poter avere ancora i Mantovani, i Ferlaino, i Viola, i Sensi, che hanno ottenuto successo con squadre che non avevano nel dna di essere tra le prime squadre italiane. Mio padre andava in sede, dove aveva due o tre dirigenti, un paio d'ore dopo esser stato in ufficio tutto il giorno. Ma con quello che sono diventate le società oggi è impossibile pensare a quel modello. Ci vogliono manager full time».

Paolo Mantovani, padre di Enrico. Fu il presidente della Sampdoria nell'anno dello storico Scudetto doriano.

Ferrero, Schick e Defrel

Un presidente ancora abbastanza "presidente" è Massimo Ferrero, un altro romano, che con la Samp ha fatto «relativamente bene»: «È un personaggio, c'è stato scetticismo intorno a lui, soprattutto dal punto di vista dell'immagine, perché il sampdoriano era abituato ad altri profili, abbiamo sempre avuto presidenti genovesi, mio padre era romano solo di nascita e d'origine. Di Ferrero si può apprezzare che è genuino, durante la sua presidenza sono usciti fuori giocatori molto interessanti. Uno di questi ce l'ha la Roma adesso...». Già, Patrik Schick, attualmente ancora oggetto misterioso: «È un peccato. Per me Schick deve giocare, non che Di Francesco stia sbagliando le scelte. Da un lato il ragazzo non è riuscito a essere performante, dall'altro lato c'è stato chi ha fatto molto bene. Se dovesse continuare così, credo che andrà via e se la Roma dovesse ridarlo alla Samp io sarei felicissimo». Percorso inverso per Defrel, sull'asse Roma-Genova: «Alla Roma la gente è abituata molto bene perché la squadra è un altro livello. Defrel è un ottimo giocatore, forse nella Capitale non ha retto certe pressioni, ma il giocatore c'è».

Enrico Mantovani Oggi

Enrico Mantovani si occupa in parte ancora di calcio, con Football Avenue, forum che riunisce club italiani, internazionali, federazioni, associazioni, leghe e aziende. Il 14 novembre a San Siro si svolgerà la sesta edizione. Per l'occasione, la Roma femminile, con Inter e Florentia, è tra le nominate per il premio Best Development Programme for Girls & Women's Football.

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