Il reportage: dentro il miracolo del Midtjylland
Ci hanno eliminato in Youth League. La prima squadra è seconda e già ha vinto due scudetti. Il club è coetaneo di Zaniolo e fa il mercato con algoritmi
Mercoledì pomeriggio, Vip lounge della MCH Arena di Herning, si mangia all'ora del thè. È il terzo tempo, che l'Uefa ha suggerito/imposto, mutuandolo dal rugby (ma con molta meno birra) nei match di Youth League. Carne si suppone danese con salsa marrone di rinforzo, insalata russa con quella crema biancastra puntellata di verde che fa tanto Ikea, pasta dalla tonalità improbabile in onore – si suppone – degli ospiti italiani, crostatine con marmellata.
Quando i ragazzi di Roma e Midtjylland sono ormai sul pullman, sotto la consueta pioggerellina locale, e nella vasta sala cala il silenzio, può capitare di captare qualche brano di conversazione degli ospiti d'onore, gli inviati dell'Uefa, chi in tuta acetata, chi in giacca col logo cucito. Parlano del numero 21 di casa, che è piaciuto molto, il difensore centrale. E l'uomo che era lì a tenere compagnia agli ospiti, un dirigente del Midtjylland, conferma: anche in società sono tutti convinti che farà strada. Ha tanti nomi, tutti comuni, forse per quello sulla distinta li scrivono tutti: si chiama Patrick Da Silva Ferreira Souza, è brasiliano, ed era all'esordio con la squadra danese, che lo ha preso nel mercato di gennaio.
Due colpi decisivi
Classe 2000, giocava nel settore giovanile del Flamengo (e chissà, senza lo sbarco in Danimarca, dove sarebbe stato la notte del tragico incendio nel centro sportivo...). Quando un altro brasiliano, pure lui arrivato a gennaio e al debutto nel calcio europeo, il numero 19 giallorosso Felipe Estrella Galeazzi, ha toccato il primo pallone, mettendo subito in mostra quella ampia falcata che chi lo aveva visto allenarsi indicava come uno dei suoi punti di forza, per entrare in area dalla fascia destra, è stato proprio Patrick Da Silva Ferreira eccetera a impedire che il suo debutto fosse da ricordare, entrando pulito, con grande tempismo, in scivolata, e togliendogli il pallone prima che potesse calciarlo in porta.
Con Bucri aveva avuto vita ancora più facile, in attesa di ulteriori conferme i dirigenti del Midtylland possono essere ben contenti del suo acquisto. E se il centrale brasiliano ha protetto la porta, chi la occupava ha fatto anche più del suo dovere: Elias Rafn Olafsson, pure lui classe 2000, ha messo i guanti sulla qualificazione, parando due rigori su quattro, a D'Orazio e Chierico. Il cognome è nordico, ma non di queste parti: viene dall'ex colonia danese, giocava nel Breidablik Kopavogur, ha debuttato con la nazionale islandese Under 19, la scorsa estate ha lasciato l'isola per venire a giocare nel continente.
Altro acquisto indovinato, da quanto ha fatto vedere mercoledì contro i giallorossi. Ha convinto meno Jibril Abubakar, uno che a molti della delegazione giallorossa ha ricordato Sadiq Umar, per quel fisico filiforme, altissimo e con gambe insolitamente magre per un calciatore: Cargnelutti e Coccia lo hanno tenuto a bada bene. Come Sadiq viene dalla Nigeria, ma non è un vero e proprio acquisto perché il Midtjylland è proprietario di un'Academy in Africa, l'Ebedey Football Club, nello stato dell'Ogun, al confine con il Benin.
Il numero 25 dei danesi è arrivato da lì, come il connazionale Sunday Odeh, subentrato nella ripresa. Non ha ancora segnato quest'anno nella Champions dei giovani Abubakar, 4 in 11 partite nella Boys League U19 locale, rispetto ai 10 di Casper Tengstedt, che ha segnato su rigore l'1-1 con la Roma: chi arriva da un'Academy non è un acquisto vero e proprio, e probabilmente non è stato sottoposto alle rigide selezioni dello scouting del Midtjylland.
Scudetti dalle statistiche
Perché il club che ha giusto l'età di Niccolò Zaniolo (è stato fondato il primo luglio 1999, il romanista è nato il 2) ha fondato la sua fortuna su un innovativo sistema di selezione dei talenti. Merito dell'inglese Matthew Benham, uno che è diventato ricco con avanzati studi sul calcolo delle probabilità, che gli hanno permesso di far piangere i bookmakers, che da quelle parti sono abituati a condurre il ballo, non a essere trascinati in pista dal primo venuto. Che con quei soldi si è comprato il club per cui tifa, il Brentford, che può vantare persino una semifinale del torneo Anglo-italiano '92-93 (i gol in trasferta promossero il Derby County, negandogli la finale con la Cremonese) e non molto altro: lo ha salvato e portato in Championship, dove gioca tutt'ora (è sedicesimo, con gli stessi punti dello Stoke City, uno in più del Queen's Park Rangers e un più che rassicurante margine sulla zona retrocessione) e poi si è ritrovato in Danimarca.
Ci arrivò seguendo Rasmus Ankersen, un bel ragazzone biondo, classe 1983, che da ragazzo nel Midtjylland aveva pure iniziato a giocare, ma aveva troppe idee all'avanguardia per limitarsi a correre dietro a un pallone. Alcune le condensò nel suo libro, "The gold-mine effect", in cui parlava delle pepite d'oro nascoste, nel senso dei talenti non ancora scoperti. Come Ronaldo - quello vero, come dicono tutti quelli che lo hanno affrontato - che arrivò al Barcellona dal Cruzeiro perché qualche genio, al Flamengo, non lo volle prendere per non accontentare le sue esose richieste economiche di allora: il biglietto dell'autobus per raggiungere il centro sportivo. L'esempio fatto da Ankeren - che nella sua bio su Twitter ha scritto solamente "The Secure Way Is The Insecure Way", "La via più sicura è quella incerta" - ha conquistato Matthew Benham, che ha voluto conoscerlo. E lui, che si occupa di consulenze motivazionali, non ci ha messo molto a convincerlo a inverstire nel club a cui era rimasto legato, all'epoca in serie difficoltà economiche.
Due pepite d'oro
Era il 2014: un anno dopo il giovane club festeggiava il suo primo, storico scudetto, con 4 punti di vantaggio sull'FC Copehagen, che pur essendo nata solamente nel 1992, aveva già vinto 10 campionati, e considerava come rivale solamente il Broedby, non certo questi altri ragazzotti che vengono dalle pianure del Nord. Nel 2018 arrivò anche il secondo scudetto per il Midtjylland, che poi sarebbero i lupi (anche se da come è stilizzato lo stemma non è facile capirlo). Due scudetti quasi subito, con il metodo matematico di ricerca dei talenti/pepite d'oro del guru Ankeren, che prevede la ricerca non necessariamente del calciatore più forte, ma di quello più sottostimato, come i giocatori vanno a cercare non la partita facile, ma la quota sbagliata, che può rendere di più. Un metodo di selezione su criteri scientifici dei talenti, mutuato dagli sport americani e in particolar modo dal baseball - nonostante il calcio sia considerato dagli stessi statistici lo sport più difficile da prevedere, visto l'altissimo numero di variabili - simile a quello su cui sta lavorando da anni la Roma, quello stesso metodo con cui aveva pochissima voglia di confrontarsi - fino ad arrivare alle dimissioni - un talent-scout vecchia scuola come Walter Sabatini.
Il miglior vivaio del paese
Proprio come la Roma, il club danese - iniziando però prima - ha integrato gli algoritmi di ricerca dei giocatori con la crescita degli stessi in casa, in uno dei settori giovanili più importanti del paese. Ce ne sono 9 nella rosa della prima squadra, ci spiega Mads Hviid Jakobsen, il capo ufficio stampa, accogliendoci negli uffici del club, dove, tra i tavolini, l'inevitabile bricco di thè e una mini cucina per i dipendenti, campeggia sul muro un enorme 1999, l'anno della fondazione, come a ribadire che essere nati prima serve davvero a poco, meglio essere più giovani e vincenti.
E tra questi nove ce ne sono un paio che erano in campo contro la Roma, come Nicolas Madsen, il numero 8, centrocampista alto come un corazziere. Vanno molto fieri di Oliver Sörensen, un classe 2002 già titolare, e del fatto che, tolti i due acquisti, l'islandese e il brasiliano (e i due nigeriani, che però si sono comunque cresciuti loro), tutti gli altri giocatori dell'Under 19 sono nel club da vari anni, sin dall'Academy. Come a dire che il software è fondamentale, ma certe cose non passano mai di moda: tradizione e innovazione mischiate insieme.
Con il contorno di un bello stadio all'inglese, come la MCH Arena, all'interno di un centro sportivo ben più vasto. Può accogliere 11.800 spettatori: non pochi, in un paesino di 60.000 abitanti, a meno di 50 km da Silkeborg, il castello della seta dove Totti segnò il suo primo gol europeo in trasferta. Nello stadio - che non ha costruito il club ma lo sponsor, appositamente per loro, in base alle esigenze - c'è il pub con tavolini e biliardo, dove ha sede la fan zone, e accanto l'inevitabile negozio con i prodotti ufficiali del club, all'interno una bella Sky Lounge, dove si può mangiare guardando la partita dai posti migliori.
C'è tutto, tranne il software delle meraviglie, come ci spiega Jakobsen: ha sede a Londra, dalle parti di casa Benham, lui non ha neppure l'accesso. Dev'essere custodito come un segreto industriale: noi avevamo provato a chiedergli se ci potevano far vedere la scheda di qualcuno che noi conoscevamo bene, e loro non avrebbero mai potuto comprare, magari Riccardi, o Zaniolo. Che chissà dove giocherebbe ora, se Fiorentina o Inter avessero potuto analizzare meglio, magari aiutandosi con qualche algoritmo, come sarebbe cresciuto e cosa sarebbe diventato. Ma gli algoritmi, come i talenti, chi li ha se li tiene ben stretti.
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