Interviste

AUDIO - Rizzitelli: "A Ranieri andrebbe steso un tappeto rosso. Dovbyk? Serve più cattiveria"

A Radio Romanista: "Come nuovo allenatore della Roma il mio sogno resta Ancelotti, ma servono i giocatori. Pioli? Non mi dispiace"

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PUBBLICATO DA La Redazione
26 Aprile 2025 - 09:20

Intervenuto sulle frequenze di Radio Romanista, nella trasmissione "Unico", Ruggiero Rizzitelli ha parlato del passato e del presente della Roma. Toccando anche temi del futuro. Di seguito l'intervista integrale.

Come arrivò la chiamata della Roma dal Cesena?

"Ricordo che prima di partire per gli Europei, il mio procuratore aveva già parlato con la Juventus. Era quasi tutto chiuso. Mentre ero in Germania per gli Europei, arriva la chiamata dal mio presidente, che mi spiazza dicendomi di aver trovato l'accordo con la Roma. Quindi chiudo la chiamata e chiamo il procuratore per sapere, mi sembrava un sogno perché, in quegli anni a Cesena, vivevo con Nappi e Bonaiuti, due romanisti sfegatati. Quindi mi avevano già inculcato la Roma dentro. Non avevo dubbi. Da lì nasce il sogno, ero quasi già tifoso, poi sono venuto a Roma e sono diventato un ultrà".

Sei stato tu a lasciare il posto a Totti nel giorno del suo esordio. Hai raccontato spesso di quanto si mettesse in mostra negli allenamenti, ma ti saresti aspettato questo tipo di carriera?

"Sai, l'impatto quando lo vedevo con la prima squadra... era il classico giocatore di qualità, il vivaio della Roma era florido, si mettevano tutti in mostra. Ma l'unico che non aveva paura dei vecchietti della Prima Squadra era lui. Chi si metteva a fare le giocate, i tunnel, veniva linciato (ride, ndr), ma Francesco era l'unico a non aver paura. Lì faceva capire tutto il suo carattere. Oltre ad avere qualità tecniche uniche, non aveva paura dei calciatori più esperti".

Tu eri un giocatore già affermato, anche se avevi 26 anni. C'erano tanti giocatori importanti in quella Roma: come fu gestito dal gruppo il periodo dopo l'esordio di Totti? Che consigli gli hai dato?

"All'epoca c'era un po' di nonnismo nella prima squadra. Francesco era così educato e timido perché effettivamente quando i "ragazzini" della Primavera si allenavano con la Prima Squadra, non potevano venire nemmeno a bere l'acqua nello spogliatoio. Poi quando inizi a giocare stabilmente in Prima Squadra, qualcosa cambia. Fai parte di un gruppo, Giannini da Capitano lo ha messo a suo agio. In campo non lo era, fuori dal campo era molto timido. In campo era tutta un'altra musica".

Negli ultimi anni di carriera di Totti, tu lavoravi nella Roma. Quali sono stati gli errori commessi?

"Non rinnego quello che ho detto, lavoravo a Roma Tv e qualcuno mi voleva tappare la bocca. Dire in quel momento alcune cose contro società e allenatore, anche se adesso si sono riappacificati con Spalletti, era difficile. Diciamo la verità, Francesco non è stato trattato come avrebbe dovuto esser trattato. Ha vissuto per la Roma, per lui c'era solo la Roma. Ed essere "cacciato" non è stato bello. Il sogno era di finire in bellezza. Non poteva finire con un Totti messo da parte, nell'ultimo anno si è ripreso la gente. Credo che anche Spalletti si sia ricreduto su quel "bollito" di Totti che non poteva essere "bollito". Quando entrava faceva paura agli avversari, e anche i suoi compagni si esaltavano solo con la sua presenza. Questo fa la differenza nel calcio. E poi, quando è entrato, ha sempre risolto le partite alla Roma. È stato un sogno il gol di Perotti alla sua ultima partita, che ha portato la Roma in Champions".

Eri in studio il giorno dell'addio di Totti.

"Io avevo chiesto di andare sul campo, ma maledettamente sono dovuto rimanere in studio. Ho provato tantissime emozioni, mi emoziono ancora. Vedere una bandiera, la storia della Roma, la lettera struggente a fine partita con la paura di smettere, ha colpito tutti noi. Fu davvero emozionante, ricordo che noi eravamo in studio e io non volevo andare in onda perché non riuscivo a parlare. Vedere una persona che per 25 anni ha trascinato la Roma, chiedere aiuto nel giorno del suo ritiro, è stata tosta".

Il tuo capitano al Cesena fu Agostino Di Bartolomei. Che rapporto avevi con lui? Cosa ti disse quando arrivò la chiamata della Roma?

"Per noi era il primo anno di Serie A. Io ero un ragazzino, quando arriva un certo Di Bartolomei, io davo del Lei ad Agostino. Una personalità incredibile, mi ha dato dei consigli strepitosi. Mi ha sempre detto di giocare come sapevo, di non aver paura di sbagliare perché ci sarebbero stati loro a difendermi. Quando sono venuto alla Roma, mi sono trovato con centinaia di giornalisti, facevo fatica a parlare. In quell'occasione il presidente Viola mi ha preso da parte per tranquillizzarmi. Mi disse 'Non tii preoccupare, ci sono io'. È quello che fece anche Di Bartolomei a Cesena. A Nappi e Bonaiuti chiedevo della piazza di Roma, ancor prima di sapere della possibilità. Loro mi dicevano che un amore del genere non si trova da nessuna parte. Ago mi diceva sempre: 'tu corri, che la palla ti arriva!' (ride, ndr). Lui faceva dei lanci incredibili, io avevo la voglia di spaccare il mondo e la protezione di Ago. Quando c'è una protezione del genere diventa tutto più facile per un ragazzino".

Tu hai dichiarato che in Roma-Brøndby di aver visto i tuoi compagni troppo addormentati, poi hai fatto un fallo duro per svegliare il gruppo. Quanto sono importanti queste cose?

"Assolutamente, già prima da dopo l'andata ci davano tutti in finale. Tutta la piazza pensava a quello, ma una volta che la partita inizia vedo i compagni un po' troppo spenti. Io provavo a urlare, ma quando le cose non le prepari bene prima, in campo fai fatica a far capire il momento. La mia pazzia è stata rincorrere ogni avversario e fare un fallaccio assurdo, lì per lì mi sono impaurito per una possibile espulsione. Fortunatamente non sono stato espulso, poi ho urlato e insultato tutti. Da lì è cambiata l'atmosfera. In ogni partita ci vuole qualcosa o qualcuno che faccia scattare la molla. Non dico un leader, io non voglio darmi del leader, ma serve una scintilla. Anche litigando in campo, quando si vuole il bene della squadra, può servire anche una litigata di campo per cambiare le cose. Fino a quel momento eravamo fermi, serviva un episodio. Basta un niente per cambiare la partita".

Che idea ti sei fatto di questa Roma? Che allenatore vorresti?

"Devo dire che Ranieri va ringraziato. Sta facendo tantissimo per la nostra amata Roma: 17 risultati utili consecutivi, stiamo sognando un posto in Europa. Dopo il Bologna in casa eravamo disperati, c'era chi parlava di Serie B. Questo signore è arrivato in punta di piedi, c'è qualcuno che ancora critica Ranieri. Ragazzi, ma stiamo scherzando?! Dovremmo stendergli un tappeto rosso lungo chilometri e chilometri. Ora Ranieri dovrebbe scegliere l'allenatore. Il mio sogno è Carletto, Ancelotti. Non se ora visti i risultati a Madrid... certo che poi ad Ancelotti devi costruire una squadra. Credo questo sia il dubbio per ogni grande allenatore. Ci sono i soldi per fare una grande squadra? Puoi anche essere un grande allenatore, ma senza risultati e senza giocatori non si va da nessuna parte. Se non si arriva ad Ancelotti, non mi dispiace Pioli".

Hai rivisto un po' il giudizio su Dovbyk?

"L'ho detto qualche mese fa, sono veramente deluso da lui. Mi aspettavo molto di più. Non pretendevo facesse la differenza subito, tutti gli hanno dato il tempo di adattarsi, ma ci si aspettava molto di più. I numeri dicono che tutto sommato non sta facendo male, ma nel complesso della partita sembra assente. Non è mai dentro la partita, non riesce a liberarsi o a dettare il passaggio. Anche Ranieri ha detto che si aspetta di più, i gol sono fondamentali, ma anche tutto il resto. Lo si vede anche da un po' di malumore dei compagni in campo, per avere la palla un centravanti si deve smarcare. I gol li ha fatti, assolutamente sì, anche pesanti. Ma se devo giudicarlo nell'atteggiamento in campo, mi sta deludendo. Fisicamente è forte, ma non tiene una palla, fa fatica a dialogare coi compagni. Il carattere è introverso e ha problemi che vanno oltre al calcio, per l'amore del cielo. Se però devo giudicare quello che vedo in campo, serve molto di più. Deve tirare fuori un po' di cattiveria. Deve farsi vedere arrabbiato coi compagni, quando non viene servito. Io con Hassler, che tutti dicevano fosse bello da vedere, mi ci arrabbiavo perché non mi passava la palla come volevo. Rudi Voeller lo insultava in tedesco, ho capito solo quando sono andato a giocare in Germania cosa gli diceva (ride, ndr). All'attaccante deve interessare questo. Io questo in lui non lo vedo, sembra assente e questo mi fa male".

 

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